Jacques
Benveniste ha intuito nel suo percorso di
ricercatore una di queste verità e anziché
negarla, soltanto perché non corrispondeva
al sapere da lui acquisito sino a quel
momento, ha cercato di comprendere spinto
dall’amore per la Scienza, il cui etimo
originario deriva dal latino Scientia
che significa Conoscenza. Non a caso Socrate
fu il primo ad accostare la Conoscenza alla
Virtù ritenendo che “l’uomo che non
sapeva cosa era il bene non poteva certo
farlo”. Oggi, purtroppo, assai di
frequente nella scienza (e non soltanto in
essa) non dominano i principi etici di
Socrate, quanto piuttosto quelli di alcuni
suoi contemporanei: i sofisti, che
trasmettevano la conoscenza, talvolta, se
necessario, anche false conoscenze, dietro
compenso.
La storia che
stiamo per raccontare non si è svolta ad
Atene ai tempi di Socrate, il quale
all’esilio preferì la cicuta, e neppure in
un regime dittatoriale, dove i dissidenti
vengono “invitati” in vari modi a rivedere
le proprie idee, ma nella terra ove
Liberté, Egualité, Fraternité sono i
principi sui quali si fonda la Repubblica.
Nel 1984,
mentre Benveniste si stava occupando dei
sistemi ipertensivi (allergici),
“casualmente”, riscontrò il cosiddetto
fenomeno ad alta diluizione che venne
denominato appunto la memoria dell’acqua. Il
fenomeno a cui si fa riferimento riguarda la
diluizione di una sostanza in acqua sino al
punto nel quale la soluzione finale contenga
solamente molecole di acqua. Con i sistemi
ipertensivi che stava usando, osservò che
questa soluzione altamente diluita attivava
una reazione come se le molecole iniziali
fossero ancora presenti nell’acqua: essa
aveva trattenuto, “memorizzato” una traccia,
un’informazione delle molecole presenti
all’inizio della diluizione. Jacques
Benveniste aveva realizzato la dimostrazione
biofisica dei più recenti “messaggi
nell’acqua” del ricercatore giapponese
Masaru Emoto, il quale con i suoi cristalli
d’acqua ha mostrato visivamente come questa
sia profondamente sensibile e connessa alla
coscienza individuale e collettiva degli
uomini.
Jacques
Benveniste, probabilmente, non ricevette il
premio Nobel per aver scoperto la molecola
del PAF (fattore di aggregazione
piastrinica), oltre a perdere la sua
acclamata reputazione, proprio perché si
“smarrì”, secondo il mondo scientifico
“ufficiale”, nei meandri oscuri dell’acqua e
della sua memoria. Intrapresa la via meno
ortodossa suggerita e stimolata da questa
sua nuova scoperta, perse immediatamente il
sostegno e i finanziamenti del mondo
accademico, che lo derise per questa sua
“eresia”. Ma facciamo un po’ di storia, per
comprendere meglio come talvolta funzioni la
scienza… quella scienza nella quale
Benveniste credeva e alla quale aveva
offerto la propria esistenza di ricercatore
affermando con dignità e rispetto: «Io ho
una guida assai esigente e ne sono rapito.
Il mio intero essere è completamente
appagato dalla sua immagine, dal profilo,
dal volto seducente e a volte evasivo, dal
sorriso incostante di questa donna che si
chiama la Scienza. Non mi si può impedire di
fare quello che faccio, di andare là dove
sto andando»
[2]. Ma
la donna in cui egli credeva e alla quale
aveva dato devozione e fedeltà non ha saputo
riconoscere e accogliere fra le sue braccia
un uomo che alla ricerca di talune risposte
aveva visto e scoperto l’inatteso. Avrebbe
potuto negarlo, tacere e invece si è
comportato da vero scienziato: ha accolto
ciò che inizialmente era incomprensibile e
inconciliabile con le conoscenze acquisite
sino a quel momento e si è avventurato in
quel mondo sconosciuto con la fierezza e il
coraggio d’un cavaliere d’altri tempi, senza
tradire, seppure vi fosse rischio, il codice
d’onore a cui si era votato, che era anche
la sua fede:la verità e la libertà.
Non ha negato
l’esistenza di ciò che ha visto
semplicemente perché non lo comprendeva e
non era riconducibile al modello conoscitivo
che possedeva. In fondo lo scienziato –
quando è un libero pensatore - è tale se ha
la capacità di stupirsi come accade al
fanciullo e se, al contempo, riesce a
mettere in atto il dubbio cartesiano, che
non dovrebbe alimentare riduttivamente lo
scetticismo o l’integralismo, ma l’umiltà di
dubitare del proprio sapere e quindi di non
essere imprigionato da dogmi e pregiudizi,
così da permettere alla Conoscenza e non
solo al sapere accademico di accompagnare
l’uomo nel suo cammino evolutivo, che non è
affatto sinonimo di progresso, ma di vera
conoscenza di sé e del mondo, ossia del
Tutto che è in noi e di cui siamo parte.
Per colui che
nel suo laboratorio aveva avuto la capacità
di stupirsi, di accogliere l’inatteso e -
come un novello alchimista - di scoprire il
messaggio della Grande Opera inscritto
nell’acqua, la via dell’ ”esilio” e del
“rogo” era segnata, poiché egli scelse di
non abiurare. Ma vediamo come venne
affrontato l’affaire Benveniste: come
si svolse il processo per eresia e quale fu
il tribunale dell’inquisizione.
Il 30 giugno
1988, il quotidiano francese Le Monde
pubblica una notizia da prima pagina, che
viene così sintetizzata: «una scoperta
francese che potrebbe capovolgere i
fondamenti della fisica». Il quotidiano
fa riferimento a un articolo apparso sulla
rinomata e accreditata rivista scientifica
inglese Nature. Le ricerche sono
state condotte dal prof. Benveniste che
vanta una straordinaria carriera: Direttore
di Ricerca presso un’importante unità dell’INSERM
(istituto nazionale per la sanità e la
ricerca medica), del quale è anche membro
del consiglio scientifico. Egli ha scoperto
una molecola importantissima implicata nel
fenomeno dell’asma ed è stato uno stretto
collaboratore di J.P. Chevènement, ministro
della ricerca dal 1981 al 1983. Tredici dei
biologi suoi collaboratori, sia francesi sia
stranieri, hanno partecipato ai lavori. Essi
sottoscrivono e testimoniano l’incredibile
esperienza che egli pubblica col titolo:
La Degranulazione dei basofili umani indotta
da elevate diluizioni di un antisiero anti
IGE. In pratica, il ricercatore è
riuscito ad attivare una cellula sanguigna
grazie a una soluzione d’acqua contenente un
anticorpo ormai completamente diluito.
L’informazione biologica è stata dunque
trasmessa in assenza della molecola:
«L’acqua può ricordare» afferma
Benveniste, il quale senza averne ancora
pienamente coscienza stava comprendendo i
meccanismi biologici relativi alla struttura
dell’acqua.
Questa
scoperta ha suscitato una controversia
scientifica di notevole portata, oltre che
una campagna denigratoria nei confronti del
ricercatore divenuto un eretico. Per molti,
i risultati non erano accettabili solo
perché non spiegabili. Ma, Benveniste non ha
abbandonato il cammino intrapreso. Cambiando
spesso il protocollo sperimentale, per
offrire basi più solide ai suoi risultati,
egli ha potuto progressivamente fornire una
spiegazione al fenomeno che pareva
inizialmente incomprensibile.
Jacques
Benveniste ha così concluso che a ciascuna
molecola attiva corrispondeva un segnale
elettromagnetico. Mano a mano che le varie
diluizioni escludevano la presenza della
molecola, il segnale rimaneva attivo. E’
così che egli, nonostante le avversità e le
difficoltà, si è impegnato anno dopo anno a
mettere in evidenza un fenomeno anomalo e
per lo più difficile da gestire con mezzi
ridotti (poiché, ricordiamo, che i fondi per
la ricerca gli erano stati negati).
Gli effetti di
queste alte diluizioni sono stati riprodotti
sette volte in sei laboratori
internazionali, indipendenti dal suo, e più
di un migliaio di volte nel proprio
laboratorio, avvalendosi anche di un robot
per escludere l’intervento umano.
Nel 1999, venne invitato dal Prof.
B.D.Josephson, premio Nobel per la Fisica, a
una conferenza a Cambridge e il laboratorio
di Cavendish - il luogo ove sono state
presentate negli ultimi centoventicinque
anni alcune tra le più straordinarie
scoperte scientifiche - ospitò anche
Benveniste, il quale presentò praticamente i
risultati più recenti delle sue scoperte.
Durante la sua relazione, mostrò alcuni
esperimenti nel corso dei quali un segnale
biologico registrato su disco rigido di un
computer venne inviato, via internet, a un
altro laboratorio sperimentale dove gli
effetti specifici della molecola originaria
venivano trasferiti a un sistema biologico.
Seppure il tempo e la strumentazione a
disposizione in quel momento fossero
limitati, il risultato fu sorprendente.
Viene da
domandarsi a questo punto quante prove siano
necessarie affinché una scoperta possa
essere considerata scientifica, o almeno
presa seriamente in considerazione, e cosa
significhi veramente la riproducibilità di
un esperimento. Probabilmente quando il
mondo scientifico si comporta da “clero
scientifico”, arroccato ai suoi dogmi,
diviene assai più intransigente con coloro
che portano altre verità rispetto a quelle
ufficialmente riconosciute di quanto lo
fossero i tribunali dell’inquisizione con la
stregoneria.
Il 3 ottobre
2004 il Prof. Jacques Benveniste termina la
sua permanenza terrena durante un intervento
chirurgico presso l’ospedale della
Pitié-Salpétrière di Parigi.
Noi crediamo
che Benveniste non sia stato né un eretico,
né un visionario, quanto piuttosto un
pioniere e abbia colto un frammento di
Verità universale.
Come ha
affermato il Prof.Josephson: «Quanti si
ostinano a credere che Benveniste avesse
inevitabilmente firmato la sua condanna al
declino e all’oblio, nel momento stesso in
cui si era avventurato al di là dei campi
convenzionali di ricerca, nei quali aveva
ottenuto approvazione e successo, si
sbagliano totalmente e commettono, senza
ombra di dubbio, un grave errore».
In sua memoria
e di quella dell’acqua queste poche pagine…
In sua
memoria, ma soprattutto per onorare la
Scienza in cui credeva, non smettiamo di
cercare la Verità…
Torino, 3
ottobre 2009
ATI
[1]
Cfr.V.Valenzi,
Il caso Benveniste. Alla sua memoria e a
quella dell’acqua. Il caso Benveniste: il
Nikola Tesla della biologia?
www.scienzaeconoscenza.it
[2] Cfr.
Benveniste J., La mia verità sulla
memoria dell’acqua, Diegaro di Cesena, Macro
Edizioni, 2006. |