L'acqua reale e quella virtuale

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Giovedì, 21 Marzo 2013

 

«Solamente il 2,5% delle risorse idriche mondiali è a disposizione per il consumo umano, e di queste l’85% viene utilizzato in agricoltura: occorre mettere in campo uno sforzo congiunto che porti ad adottare un uso più razionale dell’acqua, sia in agricoltura sia a livello personale attraverso l’adozione di regimi alimentari a basso impatto ambientale». Sono solo alcuni dei dati contenuti nel libro L’acqua che mangiamo. Cos’è l’acqua virtuale e come la consumiamo (Edizioni Ambiente), curato da Francesca Greco e Marta Antonelli e disponibile gratuitamente dal 22 marzo su sito Barilla Center for Food & Nutrition (Bcfn).

UN VALORE - «Che l’acqua sia un valore ce ne accorgiamo solo quando scarseggia. Il consumo di acqua non va considerato solo in termini reali (la quantità che si usa per noi stessi, per la cucina o per le pulizie di casa), ma anche virtuali (impronta idrica), stimando cioè tutta l’acqua che è stata utilizzata lungo l’intero ciclo di vita – dalla fase agricola fino al consumo finale – di un qualunque prodotto o servizio acquistato», proseguono le autrici.

IMPRONTA IDRICA - «La quantità di acqua utilizzata pro capite quotidianamente per il consumo domestico ammonta a 137 litri. Altri 167 litri, non visibili, rappresentano la quantità d’acqua necessaria a produrre i beni industriali che ogni giorno utilizziamo, come carta, vestiti, cotone. La vera miniera d’acqua è nascosta nel cibo: il quantitativo consumato quotidianamente da ciascuno di noi è pari a 3.496 litri, e varia molto in base a cosa mangiamo, come lo produciamo e da quanto ne buttiamo», dicono Greco e Antonelli.

DOPPIA PIRAMIDE - Consapevole degli impatti che le nostre abitudini alimentari hanno sull’ambiente, nel 2010 il Bcfn ha sviluppato la «Doppia piramide alimentare e ambientale»: strumento che collega l’aspetto nutrizionale degli alimenti con il corrispettivo impatto ambientale. Da cui emerge come gli alimenti per cui i nutrizionisti raccomandano un consumo frequente siano anche quelli con la minore impronta idrica, mentre quelli per cui si consiglia un consumo ridotto abbiano anche un maggiore impatto ambientale.

CONSUMI - Considerando l’impronta idrica in valore assoluto, il Paese che consuma il volume maggiore d’acqua è l’India (990 miliardi di m³), seguita dalla Cina (880) e dagli Stati Uniti (700). «Se tutti gli abitanti del pianeta adottassero il regime alimentare medio dei Paesi occidentali, caratterizzato da un elevato consumo di carne, sarebbe necessario un incremento del 75% dell’acqua utilizzata attualmente per produrre cibo», afferma Guido Barilla nell'introduzione al libro. «Il sapere scientifico nel campo della gestione delle risorse naturali deve tradursi in ricadute concrete sul piano dei sistemi produttivi. Il sapere sull’acqua, come quello sul cibo e sulla salute dell’uomo e dell’ambiente, deve essere patrimonio diffuso a qualsiasi livello e in qualsiasi luogo».

INTERPRETAZIONE - Questa impostazione, però, secondo alcuni studiosi va un po' interpretata. Per Ettore Capri, docente di chimica agraria dell'Università Cattolica di Piacenza e direttore di Opera-Centro di ricerca sullo sviluppo sostenibile in agricoltura, «se si confronta l'impronta idrica di un chilo di carne con un chilo di frutta, la frutta può sembrare un alimento con un impatto minore», ha detto Capri recentemente a Milano nel corso della prima edizione di WiGreen, Forum della sostenibilità ambientale. «Ma in un'alimentazione equilibrata, un italiano consuma un chilo di frutta in poco più di due giorni e un chilo di carne rossa in cinque settimane. Quindi l'impatto di questi due alimenti è praticamente equivalente nel nostro sistema alimentare. Per rispettare l'armonia del nostro ambiente, dobbiamo semplicemente mangiare sano, nel rispetto della dieta mediterranea e delle nostre tradizioni. Se l'alimentazione è equilibrata, anche l'ambiente ringrazia».

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