Il cambiamento climatico diventerà un problema di sicurezza nazionale

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Mercoledì, 13 Marzo 2013

 

L'ammiraglio Samuel J. Locklear III, a capo del Pacific Command Usa (Pacom), intervistato dal Boston Gòlobe, ha risposto in maniera sorprendente quando gli è stato chiesto quale sia più grande minaccia che deve affrontare la regione del Pacifico. «Il cambiamento climatico - ha detto - E' probabilmente la cosa più probabile che sta per accadere e che paralizzerà il contesto della sicurezza, forse più probabilmente di altri scenari dei quali spesso parliamo». L'ammiraglio ha citato tra i più gravi pericoli per la sicurezza nell'Asia-Pacifico l'innalzamento del livello dell'oceano, che mette in pericolo l'esistenza stessa di interi Paesi e che minaccia di produrre ondate di rifugiati climatici che si abbatteranno sui Paesi vicini.

Tra i militari statunitensi sta crescendo la consapevolezza che il cambiamento climatico è un fenomeno da affrontare e che muterà completamente la presenza statunitense in vari Paesi della regione Indo-Pacifica, che saranno interessati da condizioni meteorologiche mutevoli: «Dobbiamo introiettare nel nostro dialogo multilaterale, anche con la Cina e l'India - ha detto Locklear III - l'imperativo di avere capacità militari adeguate per quando gli effetti dei cambiamenti climatici cominceranno ad incidere su queste enormi popolazioni. Se le cose vanno male, si potrebbero avere centinaia di migliaia o milioni di persone sfollate e quindi la sicurezza inizierebbe a sgretolarsi molto presto».

La Marina statunitense è da tempo in prima linea nel tentare di portare all'attenzione della politica i cambiamenti climatici attraverso la lobby militare. Nel 2009 il Segretario della Navy, Ray Mabus, annunciò l'avvio del "great green fleet", un Carrier strike group alimentato da fonti di energia diverse dal petrolio, come parte di una strategia volta a ridurre la dipendenza della Marina dal petrolio straniero anche con l'utilizzo spinto di biocarburanti made in Usa. Il Programma di Mabus era stato praticamente bloccato dal Congresso, ma il Senato ha dato un nuovo via libera nel novembre 2012.

Locklear è convinto che bisogna tener conto certamente anche delle minacce "convenzionali" alla sicurezza Usa, come la Corea del nord o la crescente potenza militare della Cina, ma che il pericolo più grande viene dal collegamento tra sicurezza e clima. Il Center for american progress ha recentemente pubblicato una serie di articoli e rapporti sulle evidenti connessioni tra il cambiamento climatico e le primavere e le rivolte arabe, mettendo in evidenza i legami tra prezzi dei prodotti alimentari ed i disordini.

E' certamente sorprendente sentire il comandante del Pacom parlare così chiaramente delle minacce alla sicurezza del global warming ma, sempre nel 2010, la Quadrennial defense review del Pentagono già sottolineava che i cambiamenti climatici avrebbero avuto un forte impatto sulle risorse militari Usa.

Infatti il cambiamento climatico da solo non causa conflitti, ma può agire come un acceleratore dell'instabilità o del conflitto e rappresenterà un fardello sempre più pesante per le istituzioni civili e militari di tutto il mondo. Inoltre, gli eventi meteorologici estremi possono portare ad un aumento della domanda di intervento dei militari da parte delle autorità civili per l'assistenza umanitaria o in risposta alle catastrofi, sia negli Usa che all'estero. L'unica istituzione in controtendenza su questo punto sembra la Cia, che nel 2012 ha chiuso il suo Center on climate change and national security che aveva aperto appena nel 2009.

Locklear nella sua intervista ha sottolineato quanto, per rispondere agli impatti climatici, sia importante coordinarsi a livello multilaterale con la Cina e l'India: «Il ghiaccio si sta sciogliendo e il livello del mare è sempre più alto. L'80% della popolazione mondiale vive entro 200 miglia dalla costa. Sono dalla parte di chi ne gestirà le conseguenze. Non sono uno scienziato, ma sull'isola di Tarawa, a Kiribati, stanno contemplando lo spostando di tutta la popolazione in un altro Paese, perché il loro non esisterà più. Su questa questione, l'esercito Usa sta cominciando a entrare in contatto con altre forze armate nella regione».

Se i militari americani, cinesi e indiani si coordineranno davvero per rispondere alle minacce dei cambiamenti climatici, alla fine potrebbero essere un esempio per i colloqui politici multilaterali e bilaterali su come affrontare il global warming che sono in stallo.

Sarebbe davvero il colmo se la leadership politica mondiale, dopo essersi fatta scavalcare dall'economia, fosse superata nella comprensione della velocità dei mutamenti ambientali e sociali in corso anche dagli elefantiaci e burocratici apparati militari... e probabilmente non sarebbe nemmeno salutare per la democrazia se il cambiamento climatico diventasse principalmente una questione di sicurezza: le tentazioni di dittature "ecologiche" abbandonerebbero le pagine dei racconti di fantascienza catastrofica per diventare realtà. (Umberto Mazzantini - greenreport.it)

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