Dossier choc della Protezione Civile: "Terremoto ad Ascoli con 1300 morti"

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Lunedì, 27 Maggio 2013

 

Ascoli - È SOLO un’ipotesi. Poco più che numeri su un pezzo di carta. Fantasia statistica. Astrazione. Comunque: 1291 morti o feriti più 9513 senzatetto. Questo accadrebbe se ad Ascoli si dovesse verificare un terremoto «di potenza equivalente al massimo storico registrato». I dati, scovati dall’Espresso, si trovano in un dossier choc della Protezione Civile, cifre aggiornate e confrontate tra loro periodicamente. Schede riservate e mai rese pubbliche fino alla settimana scorsa, inquadrate all’interno di un piano generale per un’eventuale emergenza sismica.

Soltanto ipotesi, come detto; ma lo stare ad aspettare la tragedia per poi recriminare e rimpallarsi le colpe l’uno con l’altro è ormai diventato sport nazionale. Il vero nocciolo della questione riguarda la scarsa prevenzione sismica, gli antiquati piani di evaquazione e la mai avvenuta ristrutturazione generale dell’edilizia, in particolare quella pubblica, inadatta a reggere l’urto di una forte scossa. Da sottolineare anche come Ascoli sarebbe il comune a cui andrebbe peggio rispetto a tutto il resto delle Marche. Una scossa ad Ancona vorrebbe dire 613 persone colpite e 7894 sfollati, a Pesaro la proporzione è 800 e 8571, a Macerata 898 e 7060.

PURTROPPO non è dato sapere a quale evento sismico si riferiscano i dati della Protezione Civile, ma andando a scorrere un po’ i libri di storia locale, scopriamo che il 14 gennaio del 1703, una devastante scossa con epicentro individuato «tra Umbria e Marche» causò tra le seimila e le novemila vittime, anche se nessuna nella nostra Provincia. Nel 1943 si registrò un fortissimo terremoto con epicentro a Castignano: magnitudo 5.9 e duemila morti. Nel 1951, un altra scossa di grande entità (5.3) interessò le zone di Ascoli e Macerata. Giù fino alla botta del 1972, che in tantissimi ancora ricordano.

La cosa peggiore, però, non è il terremoto in sé ma come di solito viene affrontata l’emergenza del ‘dopo’, quando invece di ricostruire e leccarsi le ferite, si preferisce azzannarsi per guadagnare briciole di consenso, speculando sul disastro. «Tra il 1968 e il 2009 — informa l’Ufficio Studi della Camera dei Deputati — la gestione dell’emergenza e la ricostruzione in Italia è costata 135 miliardi di euro, di questi, 92 miliardi sono stati stanziati dallo Stato», per un impegno di spesa che — solo per quello che riguarda la scossa del 1997 tra Umbria e Marche — si estinguerà nel 2024: un peso enorme per le già molto provate casse pubbliche, considerando anche che per l’Irpinia (1980) le cambiali scadranno nel 2020.

IL PROBLEMA è strutturale: consultando il database riservato della Protezione Civile, l’Italia fa una figura da paese arretratissimo, sicuramente non da «terza potenza industriale e finanziaria d’Europa», quale ancora siamo. Ipotizzando un sisma di magnitudo 7 nell’Appennino meridionale, si stimano undicimila morti e quindicimila feriti. La media mondiale per un sisma di quel livello si assesta a quota 6.500 morti e 20.500 feriti. In Giappone a lasciarci le penne sarebbero in 50, mentre a riportare lesioni più o meno gravi sarebbero in 250. La Commissione Grandi Rischi, comunque, invita tutti a mantenere la calma e, nel 2009, fu il geologo ascolano Emanuele Tondi a gettare una bella secchiata d’acqua sulle paranoie di tanti suoi concittadini dopo il sisma che ha devastato L’Aquila e tanti paesini limitrofi. «Anche in presenza di un fortissimo sisma nella zona interna — disse il professore — al massimo avremmo solo qualche crepa. Ascoli Piceno non sarà mai zona epicentrale di un terremoto paragonabile a quello di L’Aquila». (ilrestodelcarlino.it)

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