Adriatico: scoperti i camini «sparametano»

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Lunedì, 11 Febbraio 2013

 

Il fondale del Mediterraneo è casa di grandi distese di camini calcarei, in cui si rifugiano organismi che vivono nelle profondità marine come spugne e gorgonie. La scoperta di questo ambiente unico, finora documentato soltanto nel golfo di Cadice, al largo della Nuova Zelanda e delle coste pacifiche del Nordamerica, è del team internazionale di Altro, prima missione del programma europeo CoCoNet (COast to COast NETworks) che si protrarrà fino al 2016.

A 500 METRI DI PROFONDITÀ - A bordo della nave oceanografica Urania del Cnr, il gruppo di ricercatori ha documentato la presenza, sul fondale fangoso, di formazioni, a 450–500 metri di profondità, che superano il mezzo metro d'altezza. Solo complesse analisi di laboratorio stabiliranno con certezza la genesi di queste «foreste», ma Marco Taviani, co-direttore della nave insieme a Lorenzo Angeletti dell'Istituto di scienze marine di Bologna, in una nota diffusa dal Cnr, azzarda qualche ipotesi. «È plausibile che i camini naturali si siano originati dalla risalita, in un passato geologico abbastanza recente, di fluidi ricchi di idrocarburi, probabilmente metano, attraverso la coltre dei sedimenti antichi che formano l'architettura di questo margine continentale».

FONDALI - L'esplorazione dei fondali è stata possibile grazie a un piccolo veicolo sottomarino manovrato dalla superficie, il Rov (Remotely Operated Vehicle). Insieme all'interessante scoperta, i ricercatori hanno documentato la presenza, alla stessa profondità, di rigogliosi ecosistemi: arbusti di coralli bianchi (soprattutto della specie Madrepora oculata), coralli gialli e campi di gorgonie sui fianchi dei canyon balcanici. Alcuni esemplari adesso verranno prelevati e mantenuti vivi per essere trasferiti negli acquari scientifici del Principato di Monaco, in quanto «preziosi» archivi naturali per studiare i cambiamenti climatici e l'acidificazione degli oceani.

ACIDIFICAZIONE - Sempre nel Mediterraneo, e in particolare il fazzoletto di mare indicato sulle mappe come Baia di levante (vicino a Vulcano, la più meridionale delle Eolie) si è rivelato un ottimo laboratorio naturale per studiare l'impatto sul pianeta dell'acidificazione dell'acqua di mare dovuta all'inquinamento. Gli studiosi dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) e del dipartimento di scienza della terra e del mare dell’Università di Palermo hanno infatti da poco presentato un interessante lavoro sull’acidificazione dell’acqua di mare in aree vulcaniche attive. Nell'area della Baia di levante si è appunto registrata un'elevata presenza di anidride carbonica di origine vulcanica dovuta alle emissioni sottomarine. Conseguenza: una grande quantità di CO2 si discioglie in mare, formando acido carbonico, l'acqua diventa acida e crea danni agli organismi marini, come molluschi e coralli. Questi studi sembrano quindi confermare le ipotesi secondo cui l'aumento di anidride carbonica a causa dell'inquinamento, modifichi il pH degli oceani. Sembra anche che l'acidificazione dell'acqua favorisca un aumento della tossicità dei metalli pesanti, generalmente innocui quando si presentano in forme solide, ma che a causa dell'acidificazione finiscono per assumere forme gassose, molto dannose per l'ambiente e per la salute umana. (Manuela Messina - corriere.it)

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