Gino Troli: «Quei pannelli sono ecomostri»

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Lunedì, 1 Aprile 2013

 

«Una mattina mi son svegliato... e ho trovato l’invasor. Così intendo cominciare questa lettera aperta al mio sindaco e alla amministrazione che governa la città. Non avevo nessuna intenzione di intervenire in un confronto cittadino tra parti di una stessa forza politica che sento ancora come mio riferimento, anche se non partecipo direttamente agli organismi e alla tensione che vedo esserci ogni giorno dentro una maggioranza che dovrebbe essere compatta nella soluzione dei tanti problemi di questa città. La vista però di qualcosa di incredibile mi conduce invece a intervenire, a dire la mia, a non assistere muto a una assurdità che non comprendo e che non ammetto.

Qualcuno li chiama già ecomostri, e tali sono, qualcosa d’incredibile, una bruttura indicibile in un centro urbano, che non mi è capitato di vedere in nessun luogo d’Italia, una mancanza assoluta di rispetto alla città, ai suoi abitanti, a quelli che arrivando la debbono scegliere per una vacanza, a chiunque abbia un’idea normale di un paesaggio urbano decente. Sento che si vuole abbattere il Ballarin, che almeno un ruolo storico, di memoria e di senso in questa città lo ha (si può discutere, bisogna discutere senza forzature su che cosa fare di questa memoria, ma non fregarsene!) e a cento metri si costruisce nella piazza del Pescatore, che in una città marinara sarebbe dovuto essere il luogo simbolico del mare e dei suoi lavoratori, dico a centro metri, si mette in piedi, lavorando notte e giorno, un campo di concentramento di ferraglie che fanno paura come fossero un’astronave atterrata nella notte. Non ho creduto ai miei occhi quando le ho viste, e altrettanto, quando la torre Eiffel rovesciata a terra di via D’Annunzio, mi è apparsa all’improvviso come quando il treno deragliò sul ponte di viale Moretti.

Cosa è deragliato nella testa della giunta comunale per concepire un tale attentato alla città, alla sua decenza, al senso della misura, al rispetto dei luoghi, al diritto delle nuove generazioni di decidere che tipo di città vogliono per il loro futuro

Leggo l’intervista dell’assessore ambientalista e urbanista e rimango trasecolato: «Produciamo energia pulita senza occupare un centimetro di terreno agricolo, non capisco le lamentele. Non abbiamo privato San Benedetto di parchi o zone pedonali, abbiamo semplicemente coperto dei parcheggi. Non credo che stalli auto muniti di pensiline siano peggio di stalli auto senza. Chi lo afferma strumentalizza e basta.»

Non credo alle mie orecchie, ma ha occhi per vedere chi afferma un concetto del genere? Dove ha visto mai coprire dei parcheggi che sono dei vuoti urbani con dei pieni di questa entità che annullano spazi e coprono persino le case in altezza? Ma di cosa parla?

Tutto questo per un beneficio di 600.000 euro che non si capisce in che modo e con quale fine vada a vantaggio dei cittadini che si vedono tolti spazi urbani e scorci paesaggistici. Per questi «indispensabili» pannelli ci sono i tetti, tetti di fabbriche ormai inutili, di manufatti che già ingombrano il territorio e che almeno producendo energia potrebbero avere una ragione di essere. Non le piazze. Non gli slarghi. Non parcheggi che potrebbero diventare luoghi da recuperare e destinare ad altre funzioni come Piazza del Pescatore. Hanno ragione quelli che al porto parlano di disinteresse per quella parte della città che è trattata quasi come una periferia dove tutto si può fare. Lì davanti c’è uno dei più significativi luoghi della memoria urbana, progettato come tale negli anni Trenta, il Mercato Ittico, che meritava rispetto e considerazione. Oggi quel contenitore è il Museo del Mare, voluto e realizzato da questa stessa amministrazione che poi lo misconosce impiantando di fronte una ferraglia inguardabile e installata a tempo di record come se la cosa dovesse essere fatta nella inconsapevolezza dei cittadini.

Mi fermo qui. Avrei tante cose da dire su di un certo imbarbarimento dei metodi e delle scelte che si sta impossessando della vita cittadina. Barbara è ormai la politica, lo vediamo anche ai livelli più alti, e i riflessi sono nel dibattito locale che ha perso le sue ragioni vere, la passione e il senso della polis, una polis che è lì, muta e inerme, con la sola speranza che lo stravolgimento abbia un limite e la memoria un significato.

A volte mi sento di dire una cosa che Vincenzo Spina anni fa diceva saggiamente in consiglio comunale: «Non decidete tutto voi, non avete diritto di decidere, fate decidere qualcosa alle generazioni che verranno.» Ecco, lasciate stare le cose come stanno, che vi vengono meglio.» (Gino Troli)

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