I vulcanetti di fango, effetto secondario del terremoto

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Martedì, 29 Maggio 2012

 

MILANO - Sono centinaia i vulcanetti di sabbia e fango che si osservano soprattutto nei Comuni di San Carlo di Sant’Agostino (Fe) e di San Felice (Mo) colpiti dalle recenti scosse di terremoto: hanno dimensioni modeste di qualche metro di diametro e sono disposti uno di seguito all’altro per 50-100 metri, lungo una frattura sismica. «Non sono geyser, ma il risultato della liquefazione delle sabbie che insieme alle argille e ai limi vanno a costituire la parte superficiale della pianura padana», spiega Daniela Pantosti, dirigente di ricerca all’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv).

ONDE SISMICHE - «Le onde sismiche hanno infatti provocato una sovrappressione dell’acqua contenuta negli strati. Poiché l'acqua è incomprimibile, ha causato ad alcune centinaia di metri di profondità la liquefazione dei granelli dando origine a un fango che è fuoriuscito in superficie non appena ne ha avuto la possibilità, vale a dire in corrispondenza delle fratture del terreno». In altre parole la pianura padana si è comportata nel punto colpito dal terremoto come una spiaggia che diventa molle, e in parte affonda, quando arriva un’onda per poi consolidarsi di nuovo quando quest’ultima si ritrae.

FENOMENO RICORRENTE - Nel nostro Paese non è la prima volta che un simile fenomeno si manifesta. I vulcanetti di sabbia si erano per esempio formati proprio a Ferrara durante il terremoto del 1571, in due o tre siti nel sisma dell’Aquila del 2009, nel Gargano nel 1627, nella valle del Simeto in Sicilia nel 1693, in Calabria nel 1783 e in Giappone sia nel 1995 che nel terremoto dell’anno scorso: in tutti questi casi si sono verificate accelerazioni notevoli (dovute all'energia delle scosse) negli strati profondi di zone di pianura che hanno liquefatto il sottosuolo, dato luogo a fuoriuscite di sabbia e fatto mancare l’appoggio alle case e alle varie strutture edilizie che, seppure illese, si sono inclinate su un fianco.

DINAMICA - La formazione dei vulcanetti di sabbia è un effetto secondario dovuto al passaggio dell’onda sismica che si è sviluppata per la rottura della faglia a seguito del braccio di ferro tra le propaggini più esterne dell’Appennino settentrionale e la pianura padana. Come hanno sottolineato le prime elaborazioni delle immagini ottenute dai satelliti radar di Cosmo-SkyMed dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) eseguite dai ricercatori del Cnr–Irea e dall’Ingv, questo gioco di forze ha provocato una deformazione permanente della crosta: spinte da una compressione in direzione nord-sud le propaggini settentrionali dell’Appennino si sono accavallate a quelle della bassa pianura dando origine a un sollevamento della crosta terrestre di circa 10 centimetri, non visibile all’occhio umano.

NUOVI STUDI - Sono stime preliminari, ancora parziali, che danno ragione al fatto che un oggetto tridimensionale di circa 15 chilometri di lunghezza e di 1-8 km di profondità si è rotto e che stimolano una domanda: le zone tra la pianura e l’Appennino andranno quindi ristudiate? «Noi le studiamo sempre, anche perché da tempo sono state segnalate come aree a pericolosità sismica, anche se a probabilità minore di altre nella Carta della pericolosità sismica pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale nel 2004», precisa Pantosti. Tutti dovrebbero conoscere e leggere questo documento che ridimensionerebbe molte affermazioni, prima tra tutti quella che in pianura il terremoto non sopraggiunge mai. E invece non è così, perché i depositi alluvionali trasportati dai fiumi non assorbono le onde sismiche, come dimostrano i vulcanetti di sabbia. (Manuela Campanelli - corriere.it)

PS: vi ricordo che esistono vulcanelli di fango anche nelle vicinanze di Offida (RG)

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