La stagione delle siccità e delle alluvioni: l'estate degli estremi

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Mercoledì, 18 Luglio 2012

 

Il cielo preoccupa i londinesi soprattutto per l'Olimpiade imminente. L'inquietudine è seria perché le conclusioni di un rapporto appena diffuso, realizzato dal Met Office britannico assieme alla Noaa, l'amministrazione americana per l'atmosfera e gli oceani, potrebbero davvero far temere il peggio. Nelle ultime settimane fenomeni meteorologici estremi hanno colpito il Nord America con ondate di caldo intenso seguite da rovinosi temporali e la Gran Bretagna con maltempo, inondazioni e piogge molto più copiose della media stagionale: in alcune zone si è arrivati addirittura oltre il 250 per cento della media mensile. Analizzandoli e confrontandoli con le statistiche degli ultimi anni - secondo il rapporto - emergerebbe un legame tra l'incremento di questi soggetti e il cambiamento climatico globale.

Ma come arrivano gli scienziati a simili conclusioni che da tempo, anche solo ventilate, sono oggetto di accese discussioni? «Il cambiamento climatico nell'Artico è un dato di fatto - sostiene Jennifer Francis della Rutgers University americana - perché lo spessore dei ghiacci è passato dai tre metri dei primi anni Novanta a circa un metro e mezzo di oggi; cioè si è dimezzato». La variazione dei ghiacci che riguarda anche l'estensione progressivamente diminuita, provoca un maggior assorbimento della radiazione solare e quindi un riscaldamento in grado di mutare la circolazione. «Infatti - nota Francis - abbiamo misurato un indebolimento del jetstream polare, cioè quella corrente a getto che normalmente circonda il Polo Nord ad alta quota. Una sua alterazione è capace di modificare i meccanismi atmosferici su vasta scala influenzando le latitudini inferiori nelle zone abitate dell'Europa e degli Stati Uniti, innescando quei fenomeni estremi a cui assistiamo».

«Ormai ne vediamo molte di queste manifestazioni - conclude Francis - ed è sempre più difficile dire che non siano legate al cambiamento climatico e in particolare a quanto succede in Artico». A rafforzare le valutazioni in questo senso è intervenuto anche Michael Mann, direttore alla Penn State University dell'Earth System Science Center. Mann è un illustre studioso dell'ambiente che divenne noto nel 1990 per un grafico battezzato «hockey stick», perché, ricordando nella forma la mazza da hockey, mostrava un'impennata della temperatura del pianeta salita per il massiccio impiego dei combustibili fossili. La sua elaborazione impegnò cervelli e computer nei cinque continenti per dimostrare che aveva ragione o torto a seconda del modo di vedere. «È una valutazione appropriata quella del rapporto, esaminando il caldo senza precedenti di questa estate americana - dice Mann -. Ma non si tratta solo dell'estate che viviamo, è l'anno, la decade e non riguarda soltanto gli Stati Uniti, ma l'intero globo che si sta riscaldando».

«I fenomeni estremi sono le prove che cerchiamo studiando il comportamento del clima - nota Antonio Navarra, presidente del Centro euromediterraneo per i cambiamenti climatici -. Il Polo Nord ha perso in 40 anni il 40 per cento dei ghiacci e questo è un dato di fatto di un'indiscutibile modifica ambientale. Ma quanto accade è complicato e richiede indagini più vaste e continue nel tempo prima di arrivare a conclusioni definitive».

Una modifica del jetstream polare, secondo lo studioso, può dipendere dalle differenze di temperatura tra equatore e Polo e dalla rotazione della Terra. «Ciò è quanto finora sappiamo - aggiunge Navarra -. Adesso dobbiamo chiederci invece se il jetstream sia sensibile anche ad altri parametri che ancora non conosciamo. Siamo davanti a una nuova fisica dell'atmosfera?».

Un atteggiamento cauto esprime Guido Visconti direttore del centro «fenomeni estremi» dell'Università dell'Aquila e che ha esaminato il rapporto Met Office-Noaa. «Tre anni fa si iniziò a valutare seriamente la connessione tra manifestazioni estreme e cambiamento climatico partendo proprio dal riscaldamento della zona polare - precisa Visconti -. E allora l'American Meteorological Society stabiliva che intanto bisognava classificare bene le caratteristiche degli eventi ancora troppo incerte e troppo personali nelle considerazioni. Rimane, comunque, un fatto che tutti condividono e cioè che per essere sicuri delle conclusioni ipotizzate dal rapporto bisogna disporre di statistiche almeno su un arco di mezzo secolo che non abbiamo. Altrimenti il loro significato resta discutibile». (Giovanni Caprara - corriere.it)

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