Un corsa contro il
tempo quella messa in moto dagli abitanti dell’isola
di Farewell Spit in Nuova Zelanda dove da ieri sono
spiaggiate oltre 100 balene pilota. A dare l’allarme
i turisti che dopo aver avvertito il ministero
dell’ambiente hanno contribuito a cercare di salvare
quanti più cetacei possibili.
Molti di loro sono però morte, si parla di almeno 61
esemplari. Di queste 18 sono prima riuscite a
riprendere il mare grazie all’alta marea ma non ce
l’hanno fatta e tornate in fin di vita sulla
spiaggia sono state soppresse. Questo è un evento
che si ripete almeno tre, quattro volte all’anno in
questa regione del globo. Volontari, esperti e
medici sono al lavoro per salvarne più possibile,
circa 24 esemplari sono ancora vivi.
Le cause degli spiaggiamenti non sono ancora certe,
ma è sicuro che tali fenomeni sono avvenuti in tutte
le epoche, come testimonia questo quadro, risalente
al 1577, dell'artista fiammingo Jan Wierix che
ritrae capodogli spiaggiati.
Le cause più comuni possono esser dovute al
maltempo, alla mancanza di forze, alle correnti
troppo vigorose.
C’è da dire che una ricerca condotta nel 2004 da
alcuni scienziati dell’Università della Tasmania ha
messo in rilievo come gli spiaggiamenti possono
esser dovuti al tempo, secondo i ricercatori le
fredde acque antartiche ricche di teutidi e di pesce
fluiscono verso nord, le balene seguendo le loro
prede troppo vicino alla costa finirebbero per
spiaggiarsi. Sempre secondo i ricercatori il loro
sistema di ecolocalizzazione può andare in crisi nel
rilevare variazioni dolci nelle pendenze della
costa: ciò spiegherebbe spiaggiamenti come quello
avvenuto ieri in Nuova Zelanda.
C’è anche chi però, come il geologo Jim Berkland,
attribuisce gli spiaggiamenti a cambiamenti radicali
nel campo magnetico terrestre poco prima di un
terremoto e in genere nelle aree dove le scosse si
manifestano con maggiore frequenza. Questi fenomeni
andrebbero ad intaccare l’orientamento dei mammiferi
marini.
Infine spesso gli spiaggiamenti sono causati dai
sonar presenti nelle navi militari. Pensate che i
sonar a bassa frequenza utilizzati per individuare i
sottomarini emettono i suoni più forti mai sentiti
dentro il mare: un’intensità di 240 dB che può
provocare la morte di balene e delfini e lo
spiaggiamento di massa nelle aree dove vengono
utilizzati. È stato dimostrato che forti e rapidi
cambiamenti di pressione dovuti ai sonar possono
provocare delle emorragie interne.
Ricordiamo che le balene pilota appartengono alla
famiglia dei delfini e sono più note col nome
spagnolo di 'calderones'; possono raggiungere dai
sei ai sette metri di lunghezza e quattro tonnellate
di peso. (Enrico Ferdinandi) |