MILANO - In una stanza del Center for Bio-Molecular Nanotechnologies (Cbn) dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Lecce è custodito il primo ceppo di Drosophila (il moscerino della frutta) mutato da uno specifico tipo di nanoparticelle, il cosiddetto moscerino NM-mut (Nano Material Mutated).
SPERIMENTAZIONE - «Sono esemplari unici al mondo e sono considerati la dimostrazione in vivo della genotossicità delle nanoparticelle d’oro», spiega Piepaolo Pompa, direttore del Cbn. «Sono state ottenute facendo ingerire a migliaia di moscerini, ogni giorno e per due anni, una bassa concentrazione di queste nanoparticelle mischiate al cibo, prodotte in forme tutte uguali e di dimensioni pari a 15 nanometri e non aggregate tra loro». Un attento screening ha permesso di osservare importanti aberrazioni del loro fenotipo: la loro fertilità era diminuita, il ciclo vitale accorciato, i tessuti ossidati. In una parola il loro Dna era danneggiato e le nanoparticelle si potevano definire genotossiche.
MUTAZIONI - Il danno osservato era momentaneo o si perpetuava nella progenie? Per rispondere a questa domanda i ricercatori hanno fatto mangiare a figli e nipoti dei moscerini mutati (prima e seconda generazione) cibo privo di nanoparticelle d’oro per tutta la loro vita. Ebbene, le mutazioni si ripresentavano nella discendenza: alcune Drosophile avevano ali storte o spezzate, toraci compromessi e occhi moltiplicati di numero (addirittura fino a otto) e modificati nella forma. Facendo incrociare questi esemplari aberranti con altri normali le mutazioni si manifestavano di nuovo. Segno che gli effetti tossici delle nanoparticelle d’oro erano a lungo termine. Se si rivestivano però queste stesse particelle con polimeri, la loro genotossicità scompariva e diventavano del tutto innocue. Come leggere allora i risultati ottenuti?
TRA SCIENZA E COSCIENZE - «Non bisogna creare allarmismi e dire “le nanotecnologie danno solo problemi” e neppure essere faciloni nei loro confronti affermando che ”le nanotecnologie risolvono tutti i problemi”», commenta Roberto Cingolani, fisico e direttore scientifico dell’Iit, che è capofila nello studio delle nanotecnologie. «Bisogna essere prudenti e studiarle nei dettagli. Solo in questo modo si possono capire i loro meccanismi d’azione, acquisire informazioni indispensabili per un loro sviluppo sostenibile e trovare le modalità per costruire materiali completamente innocui per l’uomo e l’ambiente». Un’osservazione è però certa: le particelle infinitesimamente piccole non dovrebbero esistere. Madre natura non ha previsto materiali metallici dell’ordine della nanoscala assemblabili tra loro e il nostro sistema immunitario non è stato programmato per particelle al di sotto del micron che non sa quindi riconoscere.
INNOVAZIONI - D’altronde le nanotecnologie sono un’innovazione dirompente nella nostra società attuale poiché hanno il vantaggio di cambiare le proprietà della materia. Con esse si possono produrre nuovi materiali, come per esempio le fibre di carbonio per biciclette da corsa e nanoparticelle di ossido per realizzare pellicole ultrasottili antiriflesso degli occhiali. Ma come si fa a renderle sicure al cento per cento? «Bisogna mettere a punto protocolli in vitro e in vivo che valutino la tossicità di una determinata nanoparticella in base a come entra nel nostro corpo, se respirata, ingoiata o per contatto, al materiale con cui è fatta, alle sue dimensioni e concentrazioni, alla loro storia biochimica, alle sostanze che incontra nel suo viaggio fatto all’interno del nostro organismo e se vengono più o meno ricoperte e di quale materiale», spiega Cingolani. La ricerca va poi eseguita anche su animali che assomigliano il più possibile a noi: la Drosophila, per esempio, è simile all’uomo nell’apparato digerente ma non in quello respiratorio. (Manuela Campanelli - corriere.it)
|