In Italia vengono
consumati mediamente oltre 500 chilometri quadrati
di territorio all’anno. E’ come se ogni quattro mesi
spuntasse una città uguale all’area urbanizzata del
comune di Milano. Nonostante ciò, tante persone
rimangono senza casa perché non se la possono
permettere. Un bel paradosso al quale Legambiente ha
dedicato il suo rapporto annuale Ambiente Italia,
presentato a Roma.
Ad analizzare numeri e dinamiche e sviluppi del
consumo di suolo - che si rivela un buon indicatore
dei cambiamenti avvenuti nel Paese e delle questioni
aperte sul territorio - sono intervenuti il
presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza,
il presidente della provincia di Roma Nicola
Zingaretti, il vice presidente di Ance Paolo
Torretta, il presidente di Inu Federico Oliva, il
presidente di Legambiente Lazio Lorenzo Parlati, il
senatore Roberto Della Seta e i curatori del
rapporto Duccio Bianchi, dell’Istituto di ricerche
Ambiente Italia e Edoardo Zanchini, responsabile
energia e infrastrutture di Legambiente.
La stima più attendibile – e, secondo Legambiente,
comunque prudenziale – di superfici urbanizzate è di
2.350.000 ettari. Una estensione equivalente a
quella di Puglia e Molise messe insieme, pari al
7,6% del territorio nazionale e a 415 metri quadri
per abitante. Negli ultimi 15 anni, il consumo di
suolo è, infatti, cresciuto in modo abnorme e
incontrollato e la realtà fisica dell’Italia è ormai
composta da informi fenomeni insediativi: estese
periferie diffuse, grappoli disordinati di sobborghi
residenziali, blocchi commerciali connessi da
arterie stradali. Ma quantificare il fenomeno non è
facile, perché le banche dati sono eterogenee e poco
aggiornate, e perché la pressione sul territorio è
ampliata da carenze di pianificazione e abusivismo
edilizio, caratteristici del nostro Paese.
Per fare chiarezza sulle dimensioni della crescita
di superfici urbanizzate, Legambiente e l’Istituto
nazionale di urbanistica hanno dato vita al Centro
di ricerca sui consumi di suolo, con il supporto
scientifico del Dipartimento di architettura e
pianificazione del Politecnico di Milano, iniziando
la raccolta di tutti i dati disponibili e
accompagnandola da un sistematico approfondimento
scientifico. La fotografia del consumo di suolo
scattata nel 2010 nelle regioni italiane mostrava la
Lombardia in testa con il 14% di superfici
artificiali sul totale della sua estensione, il
Veneto con l’11%, la Campania con il 10,7%, il Lazio
e l’Emilia Romagna con il 9%.
I primi risultati del Centro di ricerca hanno, però,
evidenziato come - accanto alla situazione di
pesante sovraccarico urbanistico che caratterizza le
regioni appena citate - Molise, Puglia e Basilicata,
pur conservando un forte carattere rurale, stiano
conoscendo dinamiche di crescita particolarmente
accelerata delle superfici urbanizzate. La maggior
parte delle trasformazioni avviene a carico dei
suoli agricoli, e solo in minor misura a carico di
terreni incolti o boschivi, coerentemente con quanto
osservato nel resto d’Europa.
Il consumo di suolo, infatti, non è una prerogativa
italiana. La Commissione europea ci conferma che
siamo nella media dei principali paesi Ue, anche se
alcuni caratteri dei processi di urbanizzazione a
noi propri rendono la situazione complessa. In
particolare, le periferie delle nostre principali
aree urbane crescono senza un progetto metropolitano
e ambientale, di trasporto pubblico e di servizi.
Mentre nelle aree di maggior pregio, tra cui le
coste, una produzione dissennata di seconde case ha
cementificato gli ultimi lembi ancora liberi di
territorio e zone a rischio idrogeologico,
abusivamente o con il benestare di piani regolatori.
"Il consumo di suolo - ha dichiarato il presidente
di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza - è oggi un
indicatore dei problemi del Paese. La crescita di
questi anni, senza criteri o regole, è tra le
ragioni dei periodici problemi di dissesto
idrogeologico e tra le cause di congestione e
inquinamento delle città, dell’eccessiva emissione
di CO2 e della perdita di valore di tanti paesaggi
italiani e ha inciso sulla qualità dei territori
producendo dispersione e disgregazione sociale.
Occorre fare come negli altri paesi europei dove lo
si contrasta attraverso precise normative di tutela
e con limiti alla crescita urbana, ma anche con la
realizzazione di edilizia pubblica per chi ne ha
veramente bisogno e interventi di riqualificazione e
densificazione urbana, fermando così la speculazione
edilizia. Esattamente il contrario di quanto
adottato nell'ultimo decreto Milleproroghe che
continua a consentire ai Comuni, per i prossimi due
anni, di adoperare il 75% degli oneri di
urbanizzazione per le spese correnti e incentiva, e
quindi a rilasciare permessi a edificare anche
laddove non sarebbero necessarie nuove costruzioni,
per pagare gli stipendi dei dipendenti".
A Napoli e a Milano, nel 2007, le superfici
impermeabili coprivano il 62% del suolo comunale.
Eppure, a fronte di 4 milioni di abitazioni circa,
realizzate negli ultimi 15 anni, nelle grandi città
italiane almeno 200.000 famiglie non riescono a
pagare il mutuo o la rata dell’affitto. Nelle stesse
città dove l’emergenza sfratti è più pesante, quasi
un milione di case risultano vuote perché
economicamente irraggiungibili da chi ne avrebbe
bisogno. Nel 2009, in testa alle città con il
maggior numero di case vuote c’era Roma con 245.142
abitazioni, seguita da Cosenza (165.398), Palermo
(149.894), Torino (144.398) e Catania (109.573).
Nello stesso periodo, il maggior numero di sfratti è
stato eseguito a Roma (8.729), a Firenze (2.895), a
Napoli (2.722), a Milano (2.574) e a Torino (2.296).
Il caso di Roma (in cima a entrambe le classifiche)
è emblematico e merita di essere analizzato. Sia
perché, negli ultimi anni, il territorio romano ha
visto una fortissima crescita edilizia, sia perché
il comune di Roma è il più grande in Italia in
termini di superficie e di popolazione. Uno studio
originale e inedito sulle trasformazioni dei suoli a
usi urbani nei comuni di Roma e Fiumicino tra il
1993 e il 2008 rivela come, in 15 anni, questi siano
aumentati del 12% a Roma (con 4.800 ettari
trasformati, quasi tre volte il tessuto “storico”
della città compreso entro le Mura Aureliane) e del
10% a Fiumicino (con 400 ettari). Una superficie
notevole, pari complessivamente all’estensione
dell’intero comune di Bolzano. Nello stesso arco di
tempo, a Roma la popolazione è aumentata di 30.887
abitanti, con una media di 150 metri quadrati di
suoli trasformati per ogni nuovo abitante. La
trasformazione ha interessato in particolare suoli
agricoli (Roma è il più grande comune agricolo
d’Europa) ma anche importanti porzioni di aree
naturali. Sono scomparsi 4.384 ettari di aree
agricole, il 13% del totale e 416 di bosco e
vegetazione riparia. Ora, in base ai piani
regolatori vigenti nei comuni di Roma e Fiumicino e
ai programmi in atto, è prevedibile un ulteriore
consumo di 9.700 ettari, prevalentemente agricoli,
ossia più di quanto sia stato trasformato tra il
1993 e il 2008.
In Italia, insomma, non si punta sul recupero
dell’esistente ma sulla trasformazione di nuove
aree, non si investe nella mobilità sostenibile, e
le città sono sempre più congestionate e inquinate.
E’ chiaro come, negli ultimi 20 anni, non si sia
costruito per rispondere alle domande di abitazioni
ma alla speculazione immobiliare e finanziaria, e la
grave situazione di disagio sociale riscontrabile in
molti centri urbani rispecchia una crisi che non
riguarda solo il settore edilizio ma attraversa
tutto il Paese.
“Non è vero che gli italiani non siano stati colpiti
dalla finanza creativa - ha commentato Duccio
Bianchi, curatore del rapporto Ambiente Italia 2011
-. Nella recessione che si è innescata nel 2008 e
acuita l’anno successivo, l’Italia ha pagato più
degli altri paesi europei e più delle altre economie
avanzate. Oppure sbagliano Eurostat, Fondo
monetario, Ocse e Banca mondiale”.
Il nostro Pil pro capite del 2009 è, infatti,
inferiore dell’ 8% a quello del 2007 e inferiore
addirittura del 4% rispetto al 2000. Mentre il paese
‘sfortunato’ a cui spesso si confronta l’Italia, la
Spagna, ha visto scendere il Pil pro capite 2009
solo del 5% rispetto al 2007 e salire del 7%
rispetto al 2000.
Sono soprattutto i giovani, già dalla metà degli
anni 90, a pagare la bassa dinamicità dell’economia
e della società italiana, tassi di crescita
dimezzati rispetto al resto d’Europa, assenza di
strumenti di protezione sociale.
Ma la recessione mondiale ha impattato anche su
alcuni processi di grande rilevanza ambientale,
primo tra tutti la trasformazione del sistema
energetico e delle sue risorse. Sul fronte
dell’efficienza e del contenimento delle emissioni,
ha facilitato il ruolo da pioniera dell’Europa, che
è enormemente avanti a tutte le altre economie. I
dati sul 2009 mostrano che la Ue conseguirà nel suo
insieme gli obiettivi di Kyoto ed è sulla strada per
raggiungere nel 2020 gli obiettivi di riduzione del
20% sulle emissioni del 1990. Solo l’Italia - che
nel 1990 non aveva nucleare e aveva pochissimo
carbone da ridurre, basse emissioni pro capite e una
delle migliori intensità energetiche della Ue -
corre il rischio di essere l’unico paese europeo che
non raggiunge gli obiettivi di Kyoto. Eppure la meta
è a portata di mano, così come è possibile
raggiungere gli obiettivi al 2020 per le rinnovabili
e la riduzione della CO2. Un esempio chiarissimo di
come l’Italia possa attivare un’industria nazionale
dell’efficienza energetica è la misura delle
detrazioni fiscali del 55% sulla ristrutturazione
energetica nell’edilizia. Nel periodo 2007-2009 sono
stati attivati complessivamente 590.000 interventi,
con un investimento (tutto privato) di 7,9 miliardi
di euro. “L’Italia deve smettere di remare contro lo
sviluppo delle rinnovabili – ha aggiunto Duccio
Bianchi – perché, quando la politica lo ha permesso,
il territorio ha dimostrato di avere le capacità per
una svolta energetica pulita. Lo stop al consumo di
suolo e la risposta ai problemi della casa e delle
città va di pari passo con una riqualificazione
energetica complessiva del patrimonio edilizio”.
Scorrendo i dati raccolti da Ambiente Italia 2011
emerge la fotografia di un Paese per molti versi
problematico, che più di altri ha subito gli effetti
della recessione economica, eppure con grandi
possibilità di ripresa e risorse in grado di
determinare passi avanti significativi verso la
modernità e un maggiore benessere.
In negativo, i parametri e i settori relativi alla
vita nelle città: la mobilità delle persone in
Italia è infatti, tra le più alte d’Europa. I mezzi
privati coprono circa l’82% della domanda. L’Italia
presenta ormai da anni un tasso di motorizzazione
(numero di auto ogni 1.000 abitanti) decisamente
superiore alla media europea. Nel 2008, ad esempio,
il valore del Belpaese è stato pari a 601 auto ogni
1.000 abitanti (erano 598 nel 2007 e 483 nel 2000)
contro le 470 dell’Unione europea, le 498 della
Francia, le 475 del Regno Unito. Ci si muove quindi
sempre in auto (12.070 passeggeri per Km/abitante),
pochissimo in tram o metro (109 passeggeri) e poco
in treno (835). Il parco veicolare, nel 2009,
risulta composto da 6.118.098 motocicli, pari al
12,7% del totale (erano 5.858.094 nel 2008) e
36.371.790 auto, pari al 75,7% (erano 36.105.183)
mentre sono solo 98.724 gli autobus, pari allo 0,2%
del totale. Gli incidenti nel 2009 sono 218.963 con
4.237 morti e 307.258 feriti, in lieve calo rispetto
al 2008 (quando gli incidenti erano 230.871 con
4.725 morti e 310.745 feriti). In Europa registriamo
comunque un’altissima mortalità stradale (79 morti
per milione di abitanti), superando di gran lunga
paesi come la Germania (54), e il Regno Unito (43).
Un settore già problematico che ha visto la sua
situazione aggravarsi ulteriormente tra il 2007 e il
2008, è quello del trasporto merci, con ben il 71,9%
delle merci che viaggia su strada (era il 70,6
l’anno precedente). Su ferro viaggia solo il 9,8%
delle derrate (era il 10,2 nel 2007), mentre il
18,3% si muove tramite navigazione. Considerando
solo il trasporto merci via terra, vediamo che in
Italia solo il 12% del trasporto avviene su ferro, a
differenza del 25% della Germania o del 39%
dell’Austria ma anche del 17% della Francia.
Polveri sottili e ossidi di azoto restano due
emergenze per la qualità dell’aria nelle città. Nel
2009 peggiora leggermente la situazione per il
biossido di azoto, con circa il 67% dei comuni
capoluogo (era il 64% nel 2008) dove la media
annuale supera il valore limite (40 microgrammi/mc)
in almeno una centralina di monitoraggio. La
situazione è più grave nelle grandi città dove solo
3 su 14 presentano un valore medio di tutte le
centraline inferiore al limite previsto. Riduzione
più netta per l’inquinamento da polveri sottili che
comunque, nel 2009 registra situazioni
particolarmente critiche in gran parte delle città
della Pianura Padana.
L’analisi della dimensione socio economica indica
poi, che il tasso di occupazione (considerata tra i
15 e 64 anni), nel 2009 in Italia è il più basso tra
i paesi industrializzati: 57,5%, con netta
differenza tra maschi (68,6%) e femmine (46,4%). In
Europa è pari al 64,6 con punte del 76,4% in
Norvegia. Anche il tasso di educazione universitaria
è tra i più bassi: 20,2%, ben lontano dal 44,7 della
Danimarca ma anche dal 40,1 del Regno Unito o dal
43,3 della Francia. In Europa è pari al 32,3. Stessa
solfa per la spesa per ricerca e sviluppo, per la
quale nel 2008 l’Italia ha impegnato l’1,18% del
PIL, a differenza della Svezia (3,75%) ma anche
della Francia (2,02%) o della Germania (2,63%).
In positivo invece, si registra la situazione del
settore energetico, dove continua la riduzione dei
consumi delle materie prime, che passano così da 191
milioni di Tep a circa 180 milioni (-5,8%). A
decrescere è la produzione energetica da fonti non
rinnovabili: la produzione di petrolio cala,
infatti, di circa 5 milioni di Tep (-5,3% del
totale), cala pure la produzione di gas naturale
(-5,6%) e di combustibili solidi (carbone) anche se
in modo meno marcato. In controtendenza, la
produzione da fonti rinnovabili che tra il 2008 e il
2009 sale di +2,3 milioni di Tep (13,5%) confermando
il trend dell’ultimo decennio (+49%).
Dopo anni di crescita incontrastata, diminuisce dal
2008 pure la produzione dei rifiuti urbani,
attestandosi a poco meno di 32,5 milioni di
tonnellate (-0,22% rispetto al 2007). A livello
procapite si passa da 546 kg/ab del 2007 a 541 kg/ab
del 2008. La raccolta differenziata è passata dal
7,1% del 1996 al 30,6% del 2008 (arrivando a quasi
10 milioni di tonnellate), anche se nel 2008 solo
sette regioni hanno superato il 35% di raccolta
differenziata (obiettivo normativo per il 2003) e si
accentua lo scarto tra le regioni del Nord e quelle
meridionali. Al Sud solo la Sardegna presenta valori
significativi di raccolta differenziata (34,7%),
mentre le altre restano ferme al palo, in
particolare il Molise (6,5%) e la Sicilia (6,7%). Se
carta e cartone, frazione organica e verde
costituiscono la base fondamentale del sistema di
recupero, l’invio in discarica rappresenta ancora la
più diffusa forma di smaltimento, anche se la quota
conferita è in diminuzione (dai 21,7 milioni di
tonnellate del 1999 ai 15,9 milioni del 2008, cioè
dal 76,7% del 1999 al 49,2% del 2008).
Sempre positivo poi, il trend dell’agricoltura
biologica che in Europa riguarda l’1,7% della
superficie agricola totale ma solo in Italia è pari
al 7,9% con 1.106.683 ettari di terreno in
conversione o convertiti nel 2009 (erano 1.002.414
nel 2008).
Un altro dato positivo riguarda la tutela delle
risorse naturali: l’estensione delle foreste nel
2010 raggiunge, infatti, i 9.149 mila ettari (erano
8.759 nel 2005). Vaste e numerose anche le superfici
sottoposte a tutela, con 2.288 Siti d’interesse
comunitario (14,3% del totale) e 597 siti zone di
protezione speciale (13,6%), complessivamente meno
estese dei siti spagnoli (rispettivamente il 24,5% e
il 20,6%) ma più ampi e numerosi di Francia,
Germania e Regno Unito.
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