Le isole scomparse nel mare del dio Ram

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Sabato, 21 Maggio 2011

 

BANGKOK - Molti scienziati sostengono che migliaia di anni fa doveva esserci una lunga striscia di sassi e sabbia tra la costa sud orientale indiana del Tamil Nadu e l'isola di Ceylon, oggi Sri Lanka. Veniva chiamato Adam Bridge, il Ponte di Adamo, in omaggio alla credenza islamica che attribuisce al nostro progenitore la leggendaria passeggiata fino al picco di Ceylon dove restò in meditazione su un solo piede per mille anni. Per gli hindu invece fa testo l'epopea del Ramayana, uno dei pilastri della cultura vedica, secondo il quale il dio Ram usò quest'autostrada marina - chiamata in India Ponte di Ram - per andare a salvare sua moglie Sita dalle grinfie del demone Ravana che l'aveva rapita e portata a Ceylon, accompagnato dal possente esercito di scimmie capeggiate dal loro re Hanuman.

Ancora oggi le navi più grandi fanno fatica a trovare un passaggio in questo tratto di mare vasto 500 km quadrati e costellato fino a pochi mesi addietro di 21 piccole isole semideserte del Parco nazionale di Mannar, oggi ridotte a 19 dopo l'inabissamento quasi improvviso di due atolli, Poomarichan e Villanguchalli. All'inizio se n'erano accorti solo gli esperti di Oceanografia e i pescatori che a migliaia solcano queste acque mitologiche. La colpa venne subito attribuita al surriscaldamento dell'atmosfera e allo scioglimento dei ghiacciai, un fenomeno che ha già fatto diverse vittime tra le terre emerse dell'Oceano indiano come New Moore (South Talpatti in lingua locale), un atollo disabitato di due chilometri quadrati nella baia

del Bengala, inghiottito nel giro di pochi mesi mentre India e Bangladesh se ne contendevano militarmente la proprietà negli anni '90. O come Carteret, un'isola al largo di Papua Nuova Guinea, dove gli ultimi abitanti sono stati traslocati due anni fa una volta stabilito che il mare continuava ad avanzare lento e inesorabile verso l'entroterra.

Ma ricerche più recenti hanno sentenziato che la sorte di Poomarichan e Villanguchalli, a differenza degli altri casi, è stata segnata più dall'intervento degli uomini che da quello di madre natura. L'estrazione mineraria della barriera corallina usata per i materiali da costruzione ha di fatto eroso la base sulla quale poggiavano i tre metri di terra emersa, dicono ora gli esperti, come S. Balaji, responsabile delle foreste e della fauna selvatica di questa regione Indo-Pacifica, unica per le sue risorse biologiche marine con 3600 specie di flora e fauna spesso rarissime. Sono stati principalmente i pescatori delle coste ad approfittare indiscriminatamente e illegalmente (le normative per i vincoli del Parco sono state adottate solo nell'89) di questo substrato calcareo estremamente prezioso per l'ecosistema.

"L'assenza di regolamenti prima del 2002 - ha detto Balaji - è stata la causa di una selvaggia estrazione mineraria interrotta troppo tardi per evitare l'inabissamento delle due isole. L'innalzamento del livello del mare, che qui è stato più lento della media globale, ha avuto a sua volta un impatto, ed "è sicuramente un campanello d'allarme serio per l'intero Oceano indiano" - ha detto il funzionario indiano che dirige anche una fondazione per la salvaguardia della biosfera del Golfo di Mannar.

Della sorte di queste isole sono preoccupati anche gli scienziati dell'Ente per i programmi di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP). "Il golfo di Mannar è una riserva unica per gli ecosistemi come le barriere coralline, le mangrovie e le alghe", ha commentato il biologo marino Deepak Samuel. "È un vivaio per numerose conchiglie - ha aggiunto - e pesci pinnati (un quarto delle 2000 specie vive qui). Questo significherà la progressiva fine del processo riproduttivo in questi tre ecosistemi." Sono più di 300.000 i pescatori che dipendono dalle risorse delle isole Mannar per sopravvivere, senza contare la sorte delle specie autoctone come il dugong o "mucca" del mare a rischio di estinzione, ben 117 tipi di corallo, 13 delle 14 categorie di alghe dei mari indiani e un prezioso genere di perla raccolta da almeno 2000 anni.

Benché gli isolotti sommersi siano piccoli, hanno ammonito i ricercatori - la stessa sorte può toccare a lungo termine alle isole più grandi se non rallentano il riscaldamento globale e l'estrazione mineraria illegale, assieme all'inquinamento delle industrie lungo la costa. Per capire l'importanza della barriera corallina in pericolo, fu proprio la sua massa compatta - secondo l'Istituto Oceanografico di Chennai - a salvare le spiagge indiane e molte delle coste dello Sri Lanka da conseguenze ancora più terribili di quelle subite durante lo tsunami del 2004. (Raimondo Buldrini - repubblica.it)

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