Basta a questo mare di plastica: appello a bagnanti e pescatori

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Mercoledì, 20 Luglio 2011

 

In quanto a presenza di rifiuti – 2,63 per ettaro di fondale – l’Adriatico risulta il mare più inquinato del mediterraneo insieme al Canale di Sicilia. A ricordarcelo è A global map of human impact on marine ecosystems, pubblicato nella prestigiosa rivista scientifica Science nel 2008. Plastica, cassette, lavatrici, copertoni, bottiglie e altri scarti che inorridiscono il nostro mare, mettono a repentaglio lo stato di salute dell’intero ecosistema marino. C’entra l’azione dell’uomo, naturalmente. Fra le fonti di inquinamento solido in mare più ricorrenti compaiono sia i rifiuti gettati dalle imbarcazioni da pesca e non, sia quelli provenienti dalle aree più antropizzate e industrializzate della costa.

L’Adriatico, come superficie e come profondità delle acque, è un mare di “piccole” dimensioni, che rimane circondato da terre affollate di gente: 4 milioni di abitanti lungo le coste del nord Adriatico, che in estate, con l’arrivo dei turisti diventano 22 milioni circa.

Purtroppo in dieci anni le zone “avvelenate” nei mari sono aumentate del 30%. Sono 405 in tutto il mondo, con una superficie pari a 250.000 Kmq, che continua ad estendersi (fonte: Science).

Ad essere particolarmente malmesse, fra le altre, le coste atlantiche americane – la situazione peggiore è alla foce del Mississippi – e quelle europee sul Baltico e sul Mare del Nord. Oltre al nord dell’Adriatico come già detto.

Ad uccidere il mare è innanzitutto la carenza di ossigeno, che si manifesta nei punti in cui sfocia in acqua un eccesso di sostanze nutrienti, derivanti, fra l’altro, dall’uso di combustibili fossili e dall’uso di azoto e fosforo dei fertilizzanti agricoli. L’abbondanza di queste sostanze tossiche finisce col provocare la fioritura di alghe, che, quando muoiono, nel processo di decomposizione, provocano il moltiplicarsi di batteri che a loro volta assorbono ossigeno dalle acque. E l’ossigeno che resta è troppo scarso perché l’ambiente sia adatto a mantenere la maggior parte delle forme di vita. Il mar Baltico, ad oggi ha perduto il 30% della sua “energia alimentare”.

Uno studio commissionato da Legambiente all’ARPA Toscana ed Emilia Romagna “L’impatto della plastica e dei sacchetti sull’ambiente marino” di recente pubblicazione mette in evidenza che la plastica rappresenta il 60/80% del totale dei rifiuti dei nostri mari (in alcune zone del pianeta addirittura il 90/95%). Nelle reti a strascico piazzate dai pescatori nell’arcipelago toscano sono rimasti intrappolati dopo un’ora ben 4 kg di rifiuti, il 73% dei quali costituito da materiale plastico. Nelmare Adriatico invece, durante i rilievi condotti dal battello oceanografico Daphne della Regione Emilia Romagna, dopo un miglio sono stati ritirati 4 tra contenitori e bottiglie per liquidi e 13 buste di plastica.

La immissione in mare di detto materiale è prevalentemente dovuta agli apporti dei fiumi, come il Po e i corsi d’acqua minori che drenano la pianura antistante la costa. Volendo azzardare una statistica il 90% dei detriti e di materiale plastico sedimentato che si trovano nel medio alto Adriatico, proviene proprio dai fiumi, mentre, per il restante 10%, dalle cattive abitudini delle persone che buttano rifiuti a mare dalla spiaggia o dalle imbarcazioni.

Le conseguenze negative di questi fenomeni non vanno considerate solo dal punto di vista economico o estetico, basti pensare alle pesanti ripercussioni che possono avere sulla vita e soprattutto sulla fauna marina. Molti animali acquatici scambiano questi materiali per cibo (per meduse) e ci si nutrono. I cetacei e i mammiferi marini sono attratti da questi materiali spesso di colore acceso. In un recentissimo studio, pubblicato da ricercatori croati nel 2010, viene mostrato il contenuto stomacale di 54 Tartarughe comuni (Caretta caretta) che in più di un terzo di casi (35,2%) presentava materiale estraneo, costituito principalmente da: plastica morbida, corde, Styrofoam (polistirolo espanso). Materiale che ingerito in un certo quantitativo (es. 15 pezzi di plastica) provoca un’occlusione dell’apparato digerente e il conseguente soffocamento.

Lo scorso novembre, all’interno della trasmissione Report è andato in onda un servizio sul ritrovamento avvenuto nel 2009 di ben 9 capodogli arenati sul litorale di Capoiale nel Gargano. Anche in questo caso il contenuto stomacale degli animali mostrava la presenza di borse, buste di plastica, scatole, cavi d’acciaio.

Secondo le stime di Greenpeace sarebbero circa 100 mila gli animali morti ogni anno, per aver ingerito la plastica o per esservi rimasti impigliati. Ultimo caso quello di una tartaruga il cui guscio si è deformato dopo che la povera tartaruga è rimasta incastrata in un anello di plastica presente nell’oceano, crescendo deforme (vedi foto).

Per rimanere in argomento a livello mondiale stime delle Nazioni Unite parlano di 18.000 pezzi di plastica per ogni chilometro quadrato di mare, per un totale che supera i 100 milioni di tonnellate. Nel Pacifico, addirittura si sarebbe formata un’isola di plastica e rifiuti galleggianti (nota come Pacific Plastic Vortex) tenuta compatta dalle correnti, grande quanto due volte lo Stato del Texas.

Da questo punto di vista purtroppo l’Adriatico non solo non è da meno, ma anzi ne risente come e più di altri mari. (ilsegnale.it)

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