A tutti coloro che difendono la Libertà e la Verità
Oggi, 27 gennaio, si celebra la Giornata della Memoria, che ricorda la liberazione del lager nazista di Auschwitz e lo sterminio di sei milioni di ebrei.
La Shoah - come viene definita tale giornata, non significa in ebraico memoria, ma desolazione, catastrofe - non dovrebbe essere semplicemente una ricorrenza per ricordare un avvenimento verificatosi in passato (sono trascorsi 66 anni da quel giorno), ma un invito a essere presenti a noi stessi, consci che nell’uomo esiste l’oscurità come la luce o meglio la mancanza di consapevolezza che lo conduce a ignorare la luce della Conoscenza che è Verità e Libertà.
Se crediamo ingenuamente che sia sufficiente ricordare come siano stati oltraggiosi e abominevoli determinati comportamenti di chi ci ha preceduti, non diveniamo certo immuni a quelle azioni e non salvaguardiamo l’umanità da nuovi oltraggi, da nuovi abomini.
Se crediamo che il ricordo accompagnato al giudizio e alla condanna di quelle offese ci preservi dal commetterne delle nuove trascuriamo come nella storia umana ricorra ciò di cui avremmo dovuto liberarci da molto tempo.
Non basta ricordare: la storia che trasforma gli uomini non è fatta solo di racconti e di immagini, infatti, i genocidi hanno continuato ad accompagnare l’uomo lungo il cammino. Se non vi è consapevolezza, l’uomo non rammenta e quindi non apprende nulla dai propri errori.
Fra qualche anno, non vi saranno più testimoni diretti dell’Olocausto e rischieremo di ricordare soltanto date, luoghi e numeri: non vi sarà più la forza di coloro che hanno lottato, sofferto, temuto, patito, ma anche sperato.
Olocausto è composto da due parole greche: holos, che significa tutto, completo e da kaustos, rogo, quindi possiamo tradurla con “ardere tutto”.
Nella liturgia ebraica antica, rappresentava il sacrificio levitico nel quale la vittima (che era un animale) era arsa completamente. Nella Bibbia, è un termine utilizzato per descrivere appunto sacrifici religiosi così da rinnovare la sacra alleanza tra il Dio di Israele e il suo popolo.
Dalla seconda metà del XX secolo, Olocausto è divenuta la parola per descrivere il genocidio operato dal Terzo Reich nei confronti degli “indesiderabili”: ebrei, oppositori politici, omosessuali, Rom, Sinti, testimoni di Geova, pentecostali, malati psichici, portatori di handicap, insomma, coloro che la dottrina nazista considerava diversi e di conseguenza da eliminare.
Mi pare importante fare due considerazioni: la prima è che se conosciamo e rispettiamo il significato della parola, non dovremmo più usare il termine Olocausto, poiché sarebbe come considerare quel genocidio un’offerta a Dio, un sacrificio per rinnovare la sacra alleanza. E uno sterminio non può esser questo! Nessun Dio può domandare di suggellare un patto in tal modo!
E neppure mi riconosco in ciò che affermò tempo addietro il Pontefice, il quale dinanzi all’orrore di Auschwitz si chiese dove fosse Dio: per me, Dio era in quel campo a donare consolazione e conforto, per cercare di lenire la shoah, la desolazione che gli uomini, con il loro libero arbitrio che spesso è pregno di ignoranza e presunzione, avevano generato. La domanda quindi dovrebbe essere: dov’era l’Uomo?
La seconda considerazione è che in modo silente, ma costante stiamo sviluppando nuovamente l’intolleranza verso coloro che sentiamo diversi e non mi riferisco solamente alle scritte antisemite, alle liste comparse su internet contro professionisti ebrei, alla discriminazione nei confronti degli omosessuali e dei cristiani, ma a qualcosa di più radicato e sotterraneo, di cui non si parla, di cui i mezzi d’informazione non raccontano, ma che spinge a discriminare chi è diverso da noi e quindi fatichiamo a comprendere a riconoscere, chi talvolta è più fragile e vulnerabile e quindi spinge a esercitare forza, anziché compassione e accoglienza.
I semi dell’intolleranza, del giudizio e dell’integralismo sono nell’uomo e a ciò dobbiamo porre attenzione, poiché è sufficiente bagnarli e questi iniziano a germogliare, soprattutto, in un tempo come il nostro nel quale la paura, il disorientamento, la confusione, la frustrazione, la rabbia e l’eccessivo individualismo sono ormai presenti nel quotidiano.
Oggi probabilmente vedremo scorrere immagini e sentiremo racconti di quello che viene definito l’Olocausto, di quel terribile genocidio, ma quanti ce ne sono stati e quanti rischiano di essercene se non prendiamo profondamente coscienza di taluni aspetti che alimentano le nostre ombre interiori?
Le mani grondanti di sangue sono state molte anche se alcune storie vengono rammentate più di altre. E’ forse meno importante il genocidio armeno? O forse sono troppo lontane le storie dei curdi o dei 100 giorni in Ruanda dove sono stati uccisi con machete, bastoni chiodati e qualche arma da fuoco circa 1.000.000 di uomini? Auschwitz inquieta di più dei gulag sovietici?
Quelle immagini comprensibilmente dolorose di scheletri che camminano toccano i nostri cuori più dei campi di raccolta dei disperati che cercano di raggiungere le nostre coste, credendo che sia l’Eldorado, e poi vengono respinti e “raccolti” in “campi” in Libia? E tutti coloro che sono perseguitati perché considerati dissidenti da regimi che si travestono da repubbliche, ma sono ben altro?
Non ci inquieta neppure tanto continuare a dialogare, per motivi politici e interessi economici, con coloro che privano della libertà uomini che la cercano per sé e per gli altri! La libertà di cui vengono privati non è solo quella del corpo, ma anche della parola, che può essere assai più rivoluzionaria, se autentica, di rivoltosi che imbracciano armi pronti a insorgere.
Spegniamo quel rogo sacrificale sul quale sono state arse tante vittime, talvolta proprio in nome di Dio: in realtà per mettere a tacere verità non condivise o pericolose per il potere. E’ tutt’oggi vivo il rogo sul quale venne arso vivo Giordano Bruno, il quale non volendo abiurare venne condannato dall’Inquisizione per eresia. Mentre ascoltava inginocchiato la condanna a morte, si alzò e volgendo lo sguardo ai giudici disse loro: «Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell’ascoltarla». Probabilmente, le sue parole erano così temute che il 17 febbraio 1600, quando venne condotto in piazza campo de’ Fiori, provvidero a eseguire la condanna con la lingua in giova, con la lingua serrata da una morsa affinché non potesse parlare.
Nel giorno della memoria, indigniamoci per ciò accadde per mano nazista, ma non crediamo che sia solo passato e quindi non sentiamoci presuntuosamente immuni.
Nel giorno della memoria, rammentiamo la bellezza della diversità e il valore inestimabile del rispetto della diversità tra gli uomini che è il vero patrimonio di cui disponiamo.
Rispondiamo all’Olocausto, credendo profondamente e coerentemente alla fratellanza e alla solidarietà, che si accompagnano a condivisione e a comunione, dove Olos - Tutto - sia un modo di pensare e agire consapevole e responsabile, capace di creare interazione e integrazione.
E allora sì che potremo ardere, bruciare sul rogo l’ignoranza e l’intolleranza!
E quel rogo porterà luce, poiché sarà Conoscenza nei suoi molteplici colori: espressione sì di un sacrifico, ma non di un’offesa, non di un oltraggio. Esso così potrà divenire sacrum facere ossia riconoscimento della sacralità delle nostre azioni quotidiane che ci mostreranno che non siamo solo creature, ma creatori capaci di essere accoglienti, creativi, consapevoli, responsabili e compassionevoli, disposti quindi a un vero rinnovamento.
Torino, 27 gennaio 2011
Anna Teresa Iaccheo |