I continui appelli a una politica economica che sostenga la crescita, ultimo in ordine di tempo quello del presidente della Repubblica Napolitano, sono comprensibili in questa fase di crisi acuta, ma hanno il difetto secondo noi di non evidenziare un aspetto fondamentale: cosa vogliamo che cresca? Se parliamo solo di Pil, la strada è sbagliata.
E' inutile affannarsi dietro gli zero virgola se l'orizzonte cui mirare resta quello di trova l'escamotage per far ripartire i consumi e nulla più. Quel mondo è passato. La crisi è strutturale e su questo sono ormai d'accordo un po' tutti gli analisti. Dunque serve crescere, siamo d'accordo, perché la decrescita tout court non è felice affatto quando si materializza all'improvviso e sotto forma di licenziamenti a pioggia, occupazioni iperprecarie, contratti di lavoro ottocenteschi, allargamento forsennato della forbice tra ricchi e poveri.
Dire come ha fatto il presidente Napolitiano che «I conti pubblici hanno tenuto, ma c'è stata una caduta del Pil. La crescita prevista è dell'1% nel 2011 e dell'1% nel 2012. A fine 2012 il pil avrà recuperato la metà dei 7 punti persi» significa che non si intende cambiare binario. Invece oggi si impongono scelte anche anticicliche per uscire da questo pantano e mettere davvero le ali al futuro soprattutto delle prossime generazioni a cui è stato ignobilmente tolto. Dal nostro punto di vista deve crescere la spesa in conoscenza, in ricerca, nella scuola, nel trasferimento tecnologico - come peraltro ha detto per gli Usa Barak Obama ieri - e deve crescere in modo orientato non più alle società obese dell'occidente, bensì orientato alla sostenibilità dello sviluppo delle economie emergenti. Altrimenti il mondo non reggerà il peso.
Ed in questo senso la scelta di un ritorno al nucleare italiano come risoluzione dei problemi energetici nazionali e come investimento per far ripartire l'economia, appare davvero una scelta folle. C'è modo e modo di leggere le relazioni, ma dal nostro punto di vista quello che dice oggi Giovanni Lelli, commissario dell'Enea, aprendo il lavori del convegno "La formazione delle risorse umane nel nuovo programma nucleare", spiega bene qual è la situazione allo stato delle cose: «La carenza di competenze può diventare una criticità per lo sviluppo dei programmi nazionali, nel caso si dovesse determinare uno squilibrio tra domanda e offerta di risorse umane qualificate, dovuta all'aprirsi di nuove opportunità professionali fuori dall'Italia, vista la crescente attenzione verso il nucleare anche di altri Paesi. La qualificazione delle risorse è indispensabile per affrontare la sfida tecnologica che un programma nucleare comporta, che è soprattutto una sfida di sistema, perché contribuisce allo sviluppo di conoscenze multidisciplinari e impegna una molteplicità di attori e risorse diversi».
In pratica c'è quasi da partire da zero e non potrebbe essere altrimenti visto che abbiamo abbandonato il nucleare da decenni. Ma lo studio realizzato dall'Enea sulle competenze necessarie all'Italia per realizzare il suo piano nucleare evidenziano anche che: «Nel corso della lunga moratoria sul nucleare, le università hanno continuato a mantenere i corsi di ingegneria nucleare e anche le attività di ricerca in questo settore sono continuate all'interno dei programmi europei. Ora, però, si richiede un salto di qualità per sostenere l'università e il mondo della ricerca perché l'Italia si metta al passo con gli altri Paesi che hanno il nucleare».
Questo in sostanza significa che lo Stato deve investire fior di euro per sostenere questo progetto. Le casse, come noto, languono assai quindi investire nel nucleare anche sottoforma di corsi di formazioni e universitari, invece che nel risparmio e nell'efficienza energetica, oppure nel riciclo, o nelle rinnovabili significa fare una scelta tra una cosa o l'altra, non entrambe perché non ce lo possiamo permettere. E questa scelta noi non la condividiamo affatto perché visti i costi, i tempi e gli esigui se mai ci fossero benefici - senza toccare il tema della sicurezza - il gioco non vale assolutamente la candela. (Alessandro Farulli - greenreport.it)
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