Il puzzle delle placche geologiche italiane

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Sabato, 24 Dicembre 2011

 

[I movimenti dello Stivale sono più complessi di quanto finora ipotizzato. Lo dimostrano nuovi studi sulla Calabria]

- Che il nostro Stivale non fosse un unico blocco che si muove in modo solidale verso l’Albania lo si sapeva già. E che la Calabria avesse un movimento più complesso e si spostasse in parte verso lo Ionio è storia già acquisita. «Nuova è invece la consapevolezza che la realtà è ancora molto più sfaccettata e che il blocco Calabro-Peloritano è suddiviso in placche che non si muovano in modo omogeneo: due di esse hanno subìto una rotazione antioraria negli ultimi 1,2 milioni di anni e le altre due una rotazione oraria», dicono Fabio Speranza e Patrizia Macrì, ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) di Roma che assieme ai colleghi dell’Università di Padova hanno fatto questa scoperta.

MICROPLACCHE - L’immagine mentale che via via prende corpo è pertanto quella che va dal grande al piccolo e ancora al più piccolo che si sbriciola in una molteplicità di microplacche con movimenti particolari. A questi dettagli si è potuto arrivare grazie al paleomagnetismo, un metodo capace di registrare le variazioni dei campi magnetici del passato. Le rocce contengono infatti minerali che si comportano come vere e proprie bussole, si orientano cioè verso il campo magnetico terrestre esistente nel momento della formazione del basamento di cui fanno parte. Forti di questa consapevolezza, i ricercatori hanno prelevato piccole carote di sedimenti nella zona di Crotone risalenti agli ultimi 5 milioni di anni. Dopo averle tagliate in cilindri di appena 2 cm di diametro, hanno eseguito la misura del campo magnetico del passato, cioè di quando tale sedimento si era formato, con il magnetometro criogenico posto in una stanza schermata del laboratorio di paleomagnetismo dell’Ingv di Roma, il principale in Italia e uno dei migliori a livello mondiale. Confrontando la misura del campo “congelato” nelle rocce con quello oggi atteso si sono accorti che la declinazione magnetica delle carotine era ruotata sia verso nord-ovest e sia verso nord-est. Segno che i blocchi da cui sono state estratte hanno subìto un movimento orario e antiorario.

SPOSTAMENTI - I movimenti ricostruiti sono da considerarsi molto recenti, perché sono stati osservati in sedimenti di soli 1,2 milioni di anni fa. Questo tempo geologicamente giovane fa ipotizzare come le rotazioni possano essere ancora attive oggi e legate ad alcune faglie trasversali che stanno ulteriormente frammentando la microplacca della Calabria che, non dimentichiamolo, si è spostata verso sud-est di 500 km dalla Sardegna a partire da 10 milioni di anni fa a causa dell’apertura del Tirreno meridionale. «Ancor prima, e precisamente 25-30 milioni di anni fa, nel Oligo-miocene (Terziario), il blocco Calabro era un tutt’uno con quello Sardo-Corso. Contemporaneamente la placca oggi coperta dal mar Ionio ha subìto una subduzione passiva: ha iniziato ad affondare nel mantello sottostante e a indietreggiare, consentendo la deriva del blocco sardo-corso-calabro e l’apertura del bacino ligure-provenzale», racconta Fabio Speranza, primo ricercatore dell’Ingv di Roma. «Dopo questo evento si è avuta una pausa di 5 milioni di anni, durante la quale non ci sono stati veri e propri spostamenti, che sono invece ripresi 10 milioni di anni fa con il distacco della Calabria dal blocco Sardo-Corso e l’apertura del Tirreno».

COME UN PUZZLE - Lo studio eseguito, sebbene abbia al momento solo un valore scientifico, consente una migliore conoscenza del territorio e dei suoi spostamenti che probabilmente sfocerà in più dettagliata compilazione della mappa del rischio sismico. La nostra penisola si può dunque paragonare a una zattera fatta di tanti tronchi: trasportata dalla corrente di uno stesso fiume, presenta zone rallentate e ruotate con diversi angoli. Una rappresentazione troppo semplificata delle due placche, quella africana e quella euro-asiatica, che si avvicinano tra loro scontrandosi deve essere pertanto ridimensionata. «Ad essa si deve aggiungere la considerazione che in mezzo a questi due grandi blocchi c’è il nostro Stivale con le sue linee orogenetiche attive, con il Tirreno che è un piccolo oceano in apertura, con il mar Ionio che è il residuo di un antichissimo oceano in via di subduzione al di sotto della Calabria e della Grecia e con il blocco Calabro-Peloritano che ora si sa essere composto da tante unità tettoniche permeate da movimenti diversi e complessi», rammenta Patrizia Macrì.

LA PLACCA ADRIATICA - Parte di questo intricato mosaico è anche la placca Adriatica, chiamata «Adria» dagli esperti, che da un punto di vista geologico, tettonico e paleomagnetico è un promontorio africano a tutti gli effetti. «Un grande “naso” che da 100 milioni di anni fa ha iniziato a collidere con la placca euro-asiatica formando nei punti di contatto le catene montuose delle Ellenidi, Dinaridi, Alpi, Appennini e rilievi del Nord Africa», precisa Fabio Speranza. «Gli stessi fossili che in essa si ritrovano risalgono al Mesozoico e testimoniano la derivazione africana di Adria. Segno che fino a Sondrio siamo su costa africana!». Negli ultimi anni si è notato, con la sismologia e il Gps, che la placca adriatica ha un movimento indipendente dalla placca africana: in senso antiorario con un polo di rotazione incentrato su Torino, che rende conto del terremoto del Friuli, di quelli della catena appenninica e dei movimenti orizzontali registrati dal Gps. Si tratta di uno spostamento recente che, avendo accumulato un irrisorio angolo di rotazione, non è ancora rilevabile con il paleomagnetismo. (Manuela Campanelli - corriere.it)

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