I temi sul tavolo dei negoziati a Durban (Sud Africa), dove è in corso il vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, sono più o meno gli stessi posti a Copenaghen due anni fa, eppure, anche se manca ancora una settimana alla fine dei lavori, il ministro dell'Ambiente Corrado Clini (ma non è il solo) crede che pure questa volta non arriveremo a nulla di concreto e già guarda al lavoro da fare in futuro.
Mentre si tergiversa, le emissioni di CO2 del Pianeta sono arrivate a oltre 33 miliardi di tonnellate nel 2010 (con un aumento del 5,8% rispetto al 2009), con la Cina responsabile di un quarto del totale (25%) e gli Usa con il 19% che portano il peso totale del "G2" al 44%. L'Ue con il 13% di CO2 si posiziona dopo gli Stati Uniti. Inoltre i Paesi del Bric fanno registrare tutti segni "+" rispetto alle emissioni dell'anno precedente: Brasile (+11,4%), Cina (+10,4%), India (+9,2%). Le responsabilità per gli elevati livelli di CO2 non ricadono solo sulle politiche attuate dagli stati ma anche sui finanziatori di determinati progetti. Secondo il rapporto "Killer del clima" stilato da alcune Ong, tra cui Banktrack e il gruppo tedesco Urgewald, dal 2005, anno di entrata in vigore del protocollo di Kyoto, a oggi, le principali 93 banche del mondo hanno investito in progetti su centrali a carbone più di 232 miliardi di euro, nonostante il greenwashing di molti istituti di credito.
«I cambiamenti climatici stanno già avvenendo, con impatti soprattutto sui paesi più poveri - ha dichiarato Heffa Schucking di Urgewald - ma ci sono moltissimi piani per costruire nuove centrali a carbone». Il carbone, ricordiamo, è la fonte energetica che contribuisce di più alla produzione di CO2, con il 41% delle emissioni mondiali. Nella classifica delle banche finanziatrici del settore, calcolata esaminando i bilanci delle principali aziende per l'estrazione e la produzione, oltre che di quelle energetiche, figura al primo posto JPMorgan Chase, seguita da Citi e Bank of America. Tra le italiane solo Unicredit, è inserita nelle prime venti (15° posto) mentre Intesa San Paolo è al 23° e Mediobanca al 36° posto.
Intanto ieri all'Unione Europea è arrivata una tirata d'orecchie da parte del Wwf ed Ecofys che hanno presentato a Durban il rapporto "Climate policy tracker". «L'Europa non sta facendo abbastanza su clima ed energia. L'Ue di questo passo non raggiungerà l'obiettivo della decarbonizzazione entro il 2050». In una scala di valutazione dalla A alla G (dove G è il voto più basso) la media generale delle politiche climatiche europee corrisponde alla lettera 'E'. Tra i Paesi più virtuosi troviamo la Danimarca con una 'D' (il paese scandinavo ha presentato una strategia con l'obiettivo di diventare indipendente dai combustibili fossili entro il 2050) e la Germania (vuole ridurre le emissioni dell'80-95 per cento); le maglie nere sono attribuite alla Romania, Bulgaria, Lussemburgo, Grecia e Polonia a cui è assegnata la "F". L'Italia, con una "E", rientra esattamente nella media europea. Le motivazioni, spiegano gli estensori del rapporto, sono dovute al fatto che il nostro paese non ha ancora una strategia globale sul clima per un'economia a basse emissioni di carbonio e inoltre potrebbero esserci rallentamento per il piano d'azione nazionale per le energie rinnovabili e quello per l'efficienza energetica. (greenreport.it)
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