Dopo il picco del petrolio, andrà a picco la globalizzazione

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Martedì, 16 Agosto 2011

 

L'economia mondiale per decenni ha seguito la strada della globalizzazione. Il timone è stato tenuto dalle economie di scala ogni volta più grandi a costi marginali sempre più bassi, spingendo il settore manifatturiero a standardizzare e a ridurre radicalmente i costi attraverso l'outsorcing e il controllo della catena delle forniture.

Così si sono imposti la concentrazione dei fornitori e l'eliminazione delle inutili gestioni interne, la promozione delle fusioni e delle acquisizioni e la riduzione dei costi per assicurare un maggior ritorno per gli investitori e prezzi più bassi per i clienti, in modo da aumentare il loro potere di acquisto e ingrossare le fila della cosiddetta classe media.

Si supponeva che questo processo globalizzatore di crescita portasse ricchezza dagli strati sociali più alti fino ai più bassi, distribuendola e permettendo a più membri della classe media di diventare ricchi.

Però la realtà dimostra che, nell'economia globalizzata, la povertà è l'unico fenomeno sostenibile.

Anche se si può sostenere che c'è stata la crescita e l'espansione del mercato, la quantità di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno non sono mai state tante come ora.

Si riteneva che il controllo dell'esplosione demografica fosse un fattore chiave per uno sviluppo sociale equo per tutti nel pianeta. Però controllare la crescita della popolazione non è sufficiente.

L'azione più decisiva che è necessaria - e la meno dibattuta - è cambiare il modello di business.

Il nostro sistema economico è sempre stato organizzato per l'efficienza, ma però nessuno ha considerato la sufficienza. L'avidità, invece della necessità, è stata la musa ispiratrice della dinamica imprenditoriale. E il baratro tra i più ricchi ed i più poveri del mondo non è mai stato tanto ampio come ora.

L'alternativa, proposta dalla Blue economy è quello di soddisfare le nostre necessità di base con quel che abbiamo. E' finta l'ora di cessare il consumo di più della capacità reale del pianeta.

Per uscire dalla trappola della scarsità ed entrare nel mondo della sufficienza per tutti gli esseri senzienti, e non solo per la specie umana, dobbiamo introdurre innovazioni e tecnologie che forniscano nutrienti ed energia a cascata, proprio come fanno gli ecosistemi.

Amory Lovins ed i suoi esperti energetici del Rocky Mountain Institute hanno dimostrato che la società moderna ha raggiunto nel 2007 il "picco del petrolio" - nel momento in cui e l'estrazione annua dei combustibili fossili raggiunse il suo punto più alto - e che da allora si stanno riducendo progressivamente le riserve. I questa situazione, abbattere il consumo e cercare fonti rinnovabili di energia è una necessità assoluta.

Ma la fine dell'era dell'accesso illimitato ai combustibili fossili porta con sé il "picco della globalizzazione".

Le imprese che si sono espanse fino a trasformarsi in multinazionali ora si confrontano con una tendenza di dinamica decrescente.

Le vincitrici saranno le piccole e medie imprese, ispirate da milioni di impresari che sapranno rispondere alle necessità di base delle loro comunità con le risorse locali disponibili.

Questo cambiamento permette di concepire un sistema competitivo nel quale il libero commercio ed il libero flusso degli investimenti stranieri diretti non saranno più la chiave per il successo economico.

Il nuovo modello offrirà opportunità alle imprese o locali che saranno capaci di creare un'ampia alleanza di attività economiche e sociali con molteplici guadagni e benefici.

Questo modello è l'alternativa alla camicia di forza imposta dal mantra dell'uniformato e globalizzato mondo contemporaneo: il giro di attività e competenze essenziali e il suo feticcio, le analisi dei flussi di cassa.

Abbandonare il modello dell'Harvard Business School, che obbliga a i manager a concentrarsi su un prodotto e un processo alla volta, permetterà che David vinca un'altra volta Golia.

David vincerà, non perché ha un accesso privilegiato ai mercati globali di capitale, lavoro, energia e minerali, ma perché l'accelerata espansione che ha incentivato la globalizzazione avrà lasciato i giganti estremamente vulnerabili.

E, a differenza delle 500 corporazioni più grandi che elenca la rivista Fortune, pochi imprenditori aspirano a rimpiazzare questi giganti e saranno soddisfatti se ognuno riuscirà a mordere una porzione del 2 o 3% del mercato dei loro formidabili avversari.

Questo nuovo paradigma faciliterà la venuta di sistemi decentralizzati di produzione e consumo che sono già competitivi e tecnicamente percorribili in tutti i settori dell'economia, incluse il minerario, la forestazione, l'agricoltura, i metalli, la chimica l'energia e l'industria cartiera.

Il portafoglio di 100 innovazioni descritte in "Blue economy" è i loro crescenti successi di mercato in tutti gli angoli del mondo, dimostrano che questi singoli successi non sono isolati ma parte de una nuova tendenza che chia "La fine della globalizzazione".

Anche se la penetrazione completa della blue economy nel nostro tessuto sociale ed economico potrebbe richiedere qualche decennio, sta già forgiando forze competitive guidate dalle necessità e dalle risorse locali.

Così nascerà una nuova società nella quale si creeranno posti di lavoro sufficienti, dove i migliori prodotti per la salute e l'ambiente saranno meno costosi e si creerà capitale sociale con la semplice dinamica di essere più produttivi e competitivi.

In definitiva, questo è quello che spera l'economia umana: realizzare molto di più con molto meno. (greenreport.it)

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