E' l'anno dedicato alla difesa della biodiversità e il 18 ottobre a Nagoya, in Giappone, si terrà il vertice per la tutela delle specie che popolano il pianeta. Ma, a fronte dei proclami di buone intenzioni, la brutale logica dei numeri mostra come, sotto la spinta vorace della specie umana, le altre arretrino a una velocità impressionante.
La conferma di questa tendenza viene da uno studio condotto su un campione di piante selezionato da tre prestigiose istituzioni, i Royal Botanical Gardens, il Museo di storia naturale britannica e l'Unione
internazionale per la conservazione della natura. Lo studio, durato cinque anni, ha preso in considerazione 1.500 specie di grandi famiglie di piante (muschio, licheni, leguminose, conifere e orchidee) e il risultato è allarmante: una pianta su cinque rischia di scomparire.
Entrando nel dettaglio della lista rossa si scopre che delle 4 mila piante esaminate il 22% è classificato come "minacciato". Di questo totale, il 4% si trova "in serio pericolo", il 7% è "in pericolo " e l'11% è "vulnerabile". Nell'81 per cento dei casi la colpa è degli esseri umani: i principali imputati sono agricoltura intensiva , allevamento, disboscamento, urbanizzazione. Tra le piante più minacciate troviamo le conifere, mentre la foresta tropicale umida è la più degradata della Terra.
La ricerca sottolinea anche i limiti delle nostre attuali conoscenze: una pianta su tre non è abbastanza studiata per poter misurare il suo stato di conservazione e tra il 20 e il 30% delle specie vegetali non è stato ancora catalogato: molte spariranno prima di essere conosciute. E con loro rischiano di sparire i principi attivi fondamentali per l'industria che studia nuovi preparati per combattere le malattie oggi senza cura (circa la metà dei prodotti farmaceutici ha un'origine naturale).
La ricerca dei botanici britannici è una fotografia del presente. Ed è già abbastanza preoccupante. Ma se si incrociano questi dati con le proiezioni dei climatologi delle Nazioni Unite otteniamo un quadro ancora più allarmante che ha indotto molti biologi a parlare del rischio di sesta estinzione di massa nella storia del pianeta, la prima determinata dall'uomo.
Alla distruzione degli habitat, all'inquinamento e alla caccia, che rappresentano oggi i fattori di rischio dominanti, si sta aggiungendo infatti il caos climatico prodotto dall'uso dei combustibili fossili e dalla deforestazione. La prospettiva è quella di un aumento di temperatura che nell'arco del secolo, a secondo della nostra capacità di correggere la rotta, potrà variare dai 2 ai 6 gradi. E adeguarsi a un cambiamento così veloce per molte specie sarà impossibile: il salto termico si trasforma in una trappola mortale. Nell'ipotesi peggiore fino a sette specie su dieci potrebbero scomparire. (Antonio Cianciullo - repubblica.it)
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