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Grottammare - Da un po’ di giorni, forse quindici, improvvisamente ogni sera verso le otto e mezza sotto Grottammare alta suonano le cornamuse (!?). Oppure “una” cornamusa, non m’intendo. Da non confondere con le nostrane zampogne, si capisce. Il suono, un po’ incerto sulle note ma potente, arriva chiaro, pulito, frizzante come l’aria delle sere di settembre. Non ce la fa a rendere l’atmosfera scottish o british, ma è talmente sorprendente e inconsueto che incanta anche le mie gatte. Note lunghe e legate, estenuanti, vicine tra loro, senza soluzione di continuità, che ogni tanto incrociandosi lente formano motivi simil-pastorali quieti e severi. Vengono in mente film di battaglie napoleoniche, immagini di nebbiosi conflitti mondiali, quadri grandi appesi nei musei, antiche illustrazioni, pagine di libri di storia. Ricordi di viaggi no, mai riuscito a sentirle le cornamuse o a vedere un autentico kilt scozzese inoltrandomi lassù oltre Manica. Pensavo quasi che fossero fantasie. Invece le cornamuse esistono: eccole a Grottammare. Sarà uno studioso di musica celtica? Un pensionato scozzese che ha comprato casa? Un bandista strano? Un viandante (strano pure lui) di passaggio sempre nello stesso punto? Un disco? Non si sa. Ma dalle otto e mezza alle nove finalmente non senti più il traffico della nazionale, né il rumore dei tagliaerba, né le campane, né l’abbaiare dei cani, né i litigi outdoors dei napoletani. Le cornamuse coprono tutto. Magia. Ieri sera mi pare d’aver riconosciuto, al ralenty, l’orecchiabile marcetta del ponte sul fiume Kwai, oltre qualche aria dal sapore bruno di Guinness. Ma di solito, mettendo il naso fuori di casa per ascoltare meglio (mentre da dentro mi richiamano ad apparecchiare…), guardando nella avanzata penombra oltre il muretto di confine m’immagino il Vallo di Adriano e le sue brume… (Pier Giorgio Camaioni)
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