Il Major economies forum (Mef) sull'energia e sul clima di New York, che Obama aveva voluto per rilanciare l'impegno dei grandi Paesi sulla riduzione dei gas serra, si sta rivelando un boomerang planetario. Il ministro indiano dell'ambiente, Jairam Ramesh, ha tracciato in un'intervista a Press Trust of India un quadro pessimistico del vertice Onu sul cambiamento climatico che si terrà a dicembre a Cancun, in Messico.
«Penso francamente che Cancun non vada da nessuna parte - ha detto Ramesh - perché gli impegni finanziari assunti dai Paesi sviluppati a Copenaghen non sono stati soddisfatti e perché non sembrano poter essere soddisfatti in una qualsiasi misura sostanziale».
L'Accordo di Copenaghen prevedeva un ""fast start" per i 30 miliardi dollari da stanziare tra il 2010 e il 2012 per l'assistenza ai Paesi in via di sviluppo per affrontare i cambiamenti climatici, ma a quanto pare la "partenza rapida" procede come una lumaca e l'Onu cercherà di trovare un nuovo accordo a Cancun sulla ripartizione dei fondi.
«Non mi aspetto un grosso passo avanti, ma non mi aspetto nemmeno una ricaduta - ha spiegato il ministro indiano - Le aspettative per Cancun dovrebbe essere molto, molto modeste. Dato che la loro situazione politica ed economica non è nella condizione più stabili, gli Stati Uniti non sono in grado di svolgere un ruolo di leadership nella lotta ai cambiamenti climatici».
Poi Ramesh ha rivelato che «Durante il Mef, le discussioni sulla conferenza di Cancun sono state tortuose. Gli europei non faranno nulla fino a quando gli americani non faranno qualcosa ... gli americani non faranno nulla fino a quando i cinesi non faranno qualcosa ... e noi facciamo un giro di giostra».
La nuova segretaria dell'United Nations framework Convention on climate change (Unfccc), Christiana Figueres, durante una visita effettuata in India all'inizio di questo mese, aveva ammesso che il sostanziale fallimento di Copenhagen era stato causato da «Un deficit di fiducia» e dal fatto che i negoziati fra i grandi avevano ignorato le richieste dei gruppi delle nazioni in via di sviluppo e ha cercato di rassicurare l'India che questo non avverrà a Cancun: «Le lezioni di Copenhagen sono state comprese. C'è un consenso definitivo per la fiducia e la trasparenza a Cancun». Forse la Figueres peccava di ottimismo, sembra pensarlo anche Ramesh che guarda già oltre il meeting messicano: «Chiaramente ora l'attenzione è sul dopo Cancun ... ci rendiamo conto che a Cancun non è possibile una svolta , ma andiamo ora cercano di limitare le nostre perdite e vedere cosa possiamo fare dopo Cancun».
Alexander Bedritsky, il capo negoziatore all'Unfccc della Russia consigliere per il cambiamento climatico del presidente Dmitry Medvedev, è molto più brutale di Ramesh: «Il Protocollo di Kyoto non avrà praticamente alcun impatto sul rallentamento del riscaldamento globale a meno che non si estenda fino a comprendere gli Stati Uniti, la Cina e altri Paesi in via di sviluppo».
Esattamente quello che non vogliono (per loro, non per gli Usa) i Paesi in via di sviluppo, che ora sono molto preoccupati di questa messa in mora del Protocollo di Kyoto da Parte della Russia, il quarto più grande emettitore mondiale di CO2, che ha aderito in extremis a Kyoto e che ha un ruolo nei negoziati dell'Unfccc per estendere il protocollo anche dopo la sua scadenza nel 2012, oppure sostituirlo con un trattato più ampio che comporti obblighi anche per i Paesi emergenti ed in via di sviluppo.
A margine dell'Arctic forum in corso a Mosca, Bedritsky, ha detto ai giornalisti che «La Russia chiederà un nuovo accordo, dato che le 40 nazioni industrializzate vincolate da Kyoto rappresentano solo il 28% delle emissioni globali. Il 28% del mondo non può cambiare nulla. Questi Paesi sono in grado di lavorare e realizzare i loro obiettivi, ma non cambierà nulla. Il peso per il clima crescerà. Invece, la prossima tornata di negoziati sui cambiamenti climatici dell'Onu a Cancun, in Messico nel mese di dicembre, dovrebbe sviluppare un accordo non vincolante tra i Paesi che rappresentano l'81% delle emissioni, concordato al vertice Onu sul clima di Copenaghen l'anno scorso».
Non è proprio l'interpretazione dell'Accordo di Copenhagen che danno i cinesi e gli altri Paesi emergenti e in via di sviluppo che fanno parte del Mef, che difendono la trincea della Cina e del G77 della responsabilità comune ma diversificata, cioè della responsabilità storica dei Paesi sviluppati per l'inquinamento industriale del pianeta. Ma Bedritsky tira dritto: «Vogliamo che la cooperazione nel periodo successivo al 2012 sia al inclusive». Gli Stati Uniti, che hanno rifiutato di ratificare Kyoto, hanno accettato l'accordo di Copenaghen concordato con il Basic (Brasile, Sudafrica, India, Cina), ma anche Bedritsky come Ramesh pensa che nessun accordo vincolante verrà firmato a Cancun, ma si aspetta progressi.
La Russia si presenterà in Messico con una lista di richieste, in cima alla quale c'è il riconoscimento del ruolo svolto dalle sue immense foreste boreali nella cattura e stoccaggio di CO2. Inoltre Mosca si fa forte del calo delle emissioni di gas serra avvenuto dopo il crollo dell'industria pesante sovietica che nel 2008 l'hanno portata al di sotto del 33% rispetto agli obiettivi previsti dal Protocollo di Kyoto rispetto ai livelli di emissioni del 1990. La proposta con la quale la Russia si presenterà a Cancun apparirà a molti come un vero e proprio affronto: «Mosca intende aumentare le emissioni tra il 15 e il 25% rispetto ai livelli attuali entro il 2020, rispettando i livelli del 1990», ha annunciato detto Bedritsky, nonostante molti Paesi poveri chiedano a quelli sviluppati dell'Ocse di tagliare almeno il 45% delle loro emissioni.
Nonostante gli incendi, il caldo record, lo scioglimento del ghiaccio artico e del permafrost, la Russia non smentisce la sua (cattiva) reputazione climate sceptic, però Bedritsky sottolinea che gli eventuali vantaggi del global warming per la Russia (risparmio sui costi di riscaldamento, aumento delle terre arabili, più facile accesso alle risorse di idrocarburi...) «Non compensano la necessità di agire per ridurre il carico umano sul clima e l'ecosistema, la necessità di adattarsi ai cambiamenti e la necessità di neutralizzarne le conseguenze pericolose» e termina molto alla russa, con un colpo al cerchio ed uno alla botte: «Gli scienziati non possono dire in modo inequivocabile che esiste un nesso diretto tra cambiamenti climatici e l'ondata di caldo in Russia e le inondazioni in Pakistan, né che questi siano ovvi cambiamenti. Ma naturalmente penso che si possano considerare come segnali dei cambiamenti». (greenreport.it)
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