LA GEOINGENERIA non impedirà affatto la risalita del mare. L'ingegneria su scala planetaria non è una soluzione, nemmeno d'emergenza, ai danni procurati al clima dalle attività umane. È questa la conclusione a cui è giunto un team di ricercatori britannici, cinesi, e danesi al termine di un nuovo studio sul futuro degli oceani terrestri. A loro parere non c'è scampo: il livello marino salirà di almeno 30-70 centimetri entro la fine del 2100, anche usando le tecniche di geoingegneria più avanzate. "Sostituire la geoingegneria al controllo delle emissioni significherebbe addossare un enorme rischio alle future generazioni", affermano i ricercatori sulla rivista scientifica Proceedings of National Academy of Science.
La massima autorità mondiale sul clima, l'Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change), ha previsto che il livello marino sarà di 20-60 centimetri più elevato per la fine di questo secolo. Una stima, questa, che molti scienziati ora ritoccherebbero verso l'alto portandola a 1-1.5 metri.
Sarà un problema che "colpirà circa 150 milioni di persone che vivono in aree costiere, incluse alcune delle maggiori città del pianeta", spiega Svetlana Jevrejeva, del National Oceanography Centre di Liverpool, in Inghilterra, coautrice della ricerca. Solamente in Cina, nei prossimi decenni milioni di persone dovranno spostarsi verso l'interno del paese.
La maggior parte degli scienziati è d'accordo: per rallentare la risalita del livello dei mari bisogna affrontare il problema alla radice ed abbattere le emissioni. Ma per ottenere questo potremmo essere in ritardo. Sono nate così proposte alternative che hanno dato vita ad un intero nuovo ramo della ricerca. L'idea è di sviluppare tecniche ingegneristiche per manipolare il clima. Ci sono proposte di "fertilizzare" gli oceani con polvere di ferro, o di rimescolare le acque profonde per favorire la crescita di alghe che, crescendo, catturerebbero anidride carbonica. Altre idee sono di lanciare in orbita un ciclopico parasole planetario, o di iniettare colossali quantità di zolfo nell'atmosfera per simulare l'effetto di un'eruzione vulcanica e generare una nube di particelle in grado di schermare la radiazione solare. O, ancora, puntare su sistemi agricoli che facilitano la fissazione al suolo di carbonio (come il biochar: un modo per convertire il materiale organico in carbone).
Un invito alla cautela arriva ora però da Jevrejeva e colleghi, che hanno concluso uno studio sull'impatto che cinque tecniche di geoingegneria avrebbero sul livello marino verso la fine del secolo. "Entro il 2100 il mare si alzerà di 30-70 centimetri anche con l'impiego di qualsiasi tecnica di ingegneria, a meno di usare quelle più estreme e sotto il più stringente scenario di emissioni globali", concludono i ricercatori. Un moderato o, peggio ancora, intermittente, uso della geoingegneria non servirebbe a molto.
I ricercatori spiegano per esempio che immettere nella stratosfera biossido di zolfo quanto ne produrrebbe una eruzione vulcanica pari a quella del Pinatubo del 1991 (circa 10 milioni di tonnellate di SO2) potrebbe rimandare la risalita del livello marino di 40-80 anni. Per mantenere invece il mare al livello che aveva alla fine degli anni '90 dovremmo ripetere questa "eruzione artificiale" ogni 18 mesi.
Questo però, fanno notare i ricercatori, non arresterebbe la acidificazione degli oceani, inevitabile a meno di un taglio radicale delle emissioni di anidride carbonica. Senza contare poi che l'impresa sarebbe costosa e potrebbe causare "effetti indesiderati", come cambiamenti nei regimi delle precipitazioni o il pericolo di danneggiare lo strato di ozono nella alta atmosfera. La messa in orbita di colossali specchi per riflettere la luce solare, un'altra ipotesi di geoingegneria, nasconde sfide tecnologiche e costi che sono, secondo gli studiosi, a dir poco scoraggianti.
L'unico metodo che lascia qualche spiraglio è l'impiego dei biocombustibili che, impiegati congiuntamente alla riforestazione e al biochar, combinati ad una rigorosa riduzione delle emissioni, potrebbe limitare la risalita dei mari a 20-40 centimetri. Insomma, attenzione a progetti ingegneristici fantascientifici e miliardari, avverte Jevrejeva: "Non sappiamo come reagirebbe il pianeta ad attività di geoingegneria di così grande scala". (Jacopo Passotti - repubblica.it)
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