Greenpeace ritiene un atto irresponsabile l'eventuale riapertura dell'impianto di alluminio della Mal ad Ajka, nell'Ovest dell'Ungheria, a dieci giorni dalla marea rossa di fanghi tossici che hanno ucciso 9 persone. L'associazione ambientalista chiede al governo ungherese di non riattivare gli stabilimenti fino a quando una Commissione internazionale di esperti indipendenti non ne abbia verificato la sicurezza. Solo dieci giorni fa, tonnellate di fanghi tossici si riversavano nell'ambiente, contaminando 40 chilometri quadrati e togliendo all'agricoltura ben 4.000 ettari di terreno. La marea rossa che ha sparso cinquanta tonnellate di arsenico, oltre a mercurio e cromo ad alti livelli, ha causato la morte di 9 persone e il ferimento di centinaia di altre, oltre a un danno irreparabile all'ecosistema del fiume Marcal, decretato ''fiume morto''. Questi i primi bilanci ambientali e sanitari, ma non e' finita. Ancora non si conoscono le vere cause del disastro - afferma Vittoria Polidori, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace - e il rischio di danni alla salute e' tutt'altro che irrisorio. Eppure le autorita' hanno autorizzato il ritorno degli sfollati a Kolontar, uno dei due villaggi piu' devastati, ma con l'obbligo di indossare le mascherine contro la polvere. Un obbligo che conferma il rischio elevato per le popolazioni locali. Non esiste un trattamento definitivo per mettere davvero in sicurezza questi fanghi, cosi' come sono ancora in fase di sperimentazione le tecniche per il loro recupero. E' fondamentale - conclude Polidori - lavorare quindi sulla prevenzione di questi terribili disastri, adottando tecnologie all'avanguardia e una gestione attenta e corretta delle aree di stoccaggio. (ANSA)
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