TRIESTE - Sott'acqua l'inquinamento acustico può essere così forte da impedire la comunicazione tra i pesci e ciò avviene ad esempio per specie molto diffuse nel Mediterraneo, come la corvina e la castagnola. A dimostrarlo è un recente studio condotto, nell'ambito del progetto "Sordo come un pesce", dai ricercatori delle università di Trieste e Vienna, in collaborazione con la Riserva marina Wwf di Miramare.
"Abbiamo scoperto che il rumore prodotto da una normale imbarcazione da diporto può rendere sordi i pesci - spiega la biologa Marta Picciulin - . Questo fenomeno può compromettere la fecondazione delle uova, dunque la stessa sopravvivenza delle specie che attirano i partner emettendo suoni". A dispetto del famoso detto, tra l'altro, non è vero che i pesci sono muti. Anzi, a oggi si conoscono oltre cento specie ittiche "chiacchierone", che si scambiano informazioni su predatori e prede, si orientano e lanciano i loro messaggi d'amore.
Il mare non è dunque il mondo silenzioso che pensiamo. Al contrario, in acqua il suono viaggia cinque volte più rapidamente che nell'aria, con una velocità di circa 1.500 metri al secondo. E siccome c'è anche una minore dispersione, i suoni raggiungono distanze maggiori. I ricercatori triestini ascoltano da tempo il rumore del mare, usando degli idrofoni, cioè microfoni progettati proprio per funzionare sott'acqua. Questi "orecchi elettronici" permettono di registrare le onde sonore e di convertirle in informazioni digitali e pure in un mondo senza confini, quale è il mare, consentono di rilevare i livelli di fracasso differenti da zona a zona. Per fare un esempio, nel corso della ricerca i monitoraggi sulla Baia di Panzano e nella riserva marina della Valle Cavanata hanno verificato che la prima è dieci volte più rumorosa della seconda.
"Le nostre ricerche - spiega Marta Picciulin - dimostrano che il rumore prodotto dalle attività dell'uomo si sovrappone ai suoni biologici, mascherandoli e, di fatto, rendendoli incomprensibili alle specie acquatiche. Lungo le rotte più battute, i movimenti delle navi hanno eliminato le zone di silenzio per gli animali che abitano il nostro mare e ormai nemmeno un'area protetta può offrire riparo. Oltre ai danni al sistema uditivo e all'interruzione dei canali relazionali all'interno di una specie, il rumore genera una serie di altri effetti negativi, come la fuga di alcuni pesci dal loro habitat naturale originario, il cambiamento delle rotte migratorie, problemi di 'navigazione' e di alimentazione ed anche stress".
Nella graduatoria delle attività umane più rumorose per il mondo sottomarino, in testa ci sono i rilevamenti sismici e i sonar militari, ma nel Mediterraneo la principale fonte di inquinamento acustico resta il traffico di barche e navi di tutte le dimensioni.
Tuttavia gli scienziati sono convinti che la convivenza tra barche e pesci sia possibile: "Il nostro lavoro - spiega la biologa - serve anche per sensibilizzare i naviganti, incentivandoli a usare motori silenziosi, di ultima generazione, evitare bruschi cambi di direzione, ridurre la velocità, etc". L'equipe di ricercatori italiani è tra le poche al mondo a occuparsi dell'inquinamento acustico in relazione ai pesci. I loro monitoraggi, tra l'altro, anticipano le recentissime richieste della Ue ai Paesi membri, pubblicate in un documento approvato a settembre 2010, di studiare il rumore sottomarino e i suoi effetti sull'ambiente. (repubblica.it)
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