Infezioni negli ospedali, ogni anno fino a 7.500 morti

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Venerdì, 26 Novembre 2010

 

MILANO - È una vera e propria epidemia silenziosa quella che percorre gli ospedali italiani: fino all'8% di chi entra in un reparto ne esce infatti con un virus o un batterio, che uccide ogni anno fino a 7.500 persone. I numeri sono forniti dagli esperti riuniti al Congresso annuale della Società italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit).

NUMERO COSTANTE - «Questo numero è costante negli ultimi anni, al Sud come al Nord - spiega Giuseppe Ippolito, presidente del congresso e direttore scientifico dell'Istituto Malattie Infettive Spallanzani di Roma -, ma potrebbe essere ridotto del 30% con un piccolo investimento. Purtroppo le infezioni ospedaliere fanno più vittime degli incidenti stradali». Secondo le cifre presentate in Italia si stima che il 5-8% di tutti i pazienti afferenti alle strutture sanitarie sviluppino un'Ipa (infezione associata alle patologie assistenziali), pari a 450-700mila casi con 4.500-7.500 decessi direttamente attribuibili e circa 3 milioni 750mila giornate di degenza per le complicanze infettive acquisite a seguito del ricovero. L'allarme lanciato dagli esperti riguarda soprattutto reparti come terapia intensiva e chirurgia. «Questo tipo di infezioni non sono azzerabili - avverte Ippolito -, ma andrebbero corretti dei comportamenti a rischio. Per esempio eliminando i cateteri, l'uso massiccio di antibiotici, la monosomministrazione, la depilazione pre-operatoria e soprattutto la carenza di igiene».

GERMI RESISTENTI - Della stessa opinione Evangelista Sagnelli, presidente della Simit: «Le conseguenze delle infezioni Ipa sono le polmoniti nosocomiali e le patologie multirestistenti. Questo perché molti dei germi che si acquisiscono in ospedale hanno una grande resistenza e diventano pericolosi. A rischio quindi gli anziani in degenza nei reparti di rianimazione. Spazi dove sono necessarie procedure di decontaminazione per eliminare ogni tipo di pericolo». A finire sul banco degli imputati sono i medici e le vetuste strutture di degenza sparse sul territorio nazionale. «I medici si lavano le mani solo nel 20% dei casi in cui dovrebbero - spiega Ippolito - e questo è un veicolo importante per i batteri. Poi servirebbe del personale specializzato in grado di gestire e coordinare all'interno dell'ospedale il problema di queste infezioni: un infermiere ogni 250-300 pazienti e un medico ad hoc ogni 400 pazienti». (repubblica.it)

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