Il fermo biologico non basta più

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Venerdì, 19 Novembre 2010

 

San Benedetto del Tronto - Fermo biologico più lungo? Inutile con queste condizioni. E’ il pensiero dei marittimi sambenedettesi dell’Assimpesca che, per bocca del loro coordinatore, Nazzareno Torquati, hanno voluto accendere i riflettori su tutti gli aspetti che stanno portando il settore al collasso.

“Il grido d’allarme sulla desertificazione del nostro mare è ormai incessante da almeno 25 anni quando si iniziò ad affrontare il problema con i famosi “fermi biologici” nel periodo estivo e che sono costati oltre un miliardo di euro ed altrettanto se non di più per effetto indotto, nel senso che essendo stato inefficace ha portato alla demolizione la metà della flotta peschereccia italiana. Eppure per decenni si è continuato autisticamente a percorrere lo stesso itinerario e a discutere se il fermo andava fatto a partire dai primi di agosto o dalla settimana successiva”.

Torquati ritiene il fermo un “fallimento di questa politica di settore” e definisce la proposta di aumentarne la durata “un tentativo di riesumazione” senza “cercare di proporre sistemi sostitutivi”. “Perché - continua l’ex assessore alla pesca - che senso ha diminuire ulteriormente i giorni di pesca se non si modificano le tecniche di cattura come ad esempio la pesca delle sogliole esercitata all’ interno delle sei miglia con i rapidi che sono attrezzi altamente invasivi trainati da super motori da 1000 o 1500 cavalli? Oppure la pesca delle vongole con le turbosoffianti, la pesca con i palangari che distruggono le matrici dei pesci, la piccola pesca che distrugge le uova di seppia fissate alle nasse, le retine e i cerchi non selettive non selettivi per la pesca di pesci e molluschi, le reti a strascico tradizionali e gemelle trainanti divergenti pesantissimi che solcano i fondali, le reti delle lampare e delle volanti che pescano la maggior parte di giovani alici”.

Poi prosegue: “E’ tutto un sistema che va riconsiderato con un fortissimo investimento nella ricerca utile ad individuare finalmente le aree di riproduzione e nursery e renderle sicure ed esercitare la pesca dove esiste la più alta percentuale di individui maturi e costruendo attrezzi sempre più selettivi. La Regione Marche potrebbe essere la prima in Italia a delineare un nuovo modello per lo sviluppo della pesca sia promuovendo accordi di distretto con i Paesi frontalieri che fornendo le risorse finanziarie per la ricerca e smettendo quindi costruendo un piano strategico di intervento coinvolgendo le Regioni vicine e con la totale disponibilità delle marinerie che ormai sono ben mature sulla necessità di un vero cambiamento”. (Emidio Lattanzi - corriereadriatico.it)

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