Nell'attuale grave periodo di crisi economica e finanziaria, come abbiamo più volte sottolineato e approfondito in queste pagine, sembra che molti leader e policy makers non si accorgano che, oltre al "disordine" squisitamente economico che dobbiamo affrontare e risolvere, ci troviamo sempre di più in una situazione di gravissimo deficit ecologico.
L'umanità sottrae continuamente risorse per i suoi crescenti bisogni, in maniera superiore alle capacità rigenerative degli ecosistemi del pianete e sovrasta con i suoi scarti e rifiuti, solidi, liquidi e gassosi le capacità ricettive degli stessi. La sofferenza dei sistemi naturali rispetto alla nostra crescente pressione deve diventare il primo punto all'ordine del giorno dell'agenda politica internazionale. Ormai tutte le conoscenze che abbiamo sin qui acquisito ci documentano chiaramente che non può esistere una sana economia, una vitalità ed un benessere dei nostri sistemi sociali se la base perché ciò abbia luogo, e cioè la salute dei sistemi naturali, non è garantita. Quindi gestire bene i sistemi naturali significa garantirci la sopravvivenza.
Anche l'ultimo "Global Biodiversity Outlook 3" pubblicato dalle Nazioni Unite (Convenzione sulla Diversità Biologica e Programma Ambiente dell'ONU - UNEP) lo dimostra ulteriormente (vedasi gbo3.cbd.int) .
Necessita quindi sempre di più un vero e proprio "Piano B" che ci consenta di uscire da una drammatica crisi ecologica, oltre che economica e sociale. Come abbiamo visto la scorsa settimana Lester Brown, il notissimo fondatore del Worldwatch Institute nonché fondatore e presidente dell'Earth Policy Institute), è tornato in Italia per presentare la quarta versione del suo "Piano B" (edito da Edizioni Ambiente).
Brown, nello straordinario affresco di analisi e di articolata e sinergica proposta che costituisce il suo "Piano B", ci ricorda, tra le altre cose, la crescente situazione di gravità dovuta all'incremento dell'insicurezza alimentare del mondo odierno.
Come sappiamo l'ultimo rapporto FAO sullo stato dell'insicurezza alimentare pubblicato nel 2009 ci documenta che abbiamo raggiunto la cifra di un miliardo e 20 milioni di esseri umani denutriti. Brown ci ricorda che sul lato dell'offerta sono in atto numerosi fenomeni ambientali che rendono sempre più difficile incrementare in maniera sufficientemente rapida la produzione alimentare. Tra i fattori principali è necessario ricordare l'erosione dei suoli, l'esaurimento delle falde acquifere, le ondate di calore anomalo che riducono la produttività delle colture, la fusione delle calotte polari con conseguente innalzamento dei mari e la fusione dei ghiacciai montani dai quali dipendono le grandi reti fluviali ed i sistemi irrigui. Inoltre tra le tendenze attuali ve ne sono tre che hanno conseguenze significative sulla capacità di approvvigionamento alimentare: l'uso di terreno agricolo a scopi edilizi, industriali, residenziali, lo sfruttamento delle riserve idriche per l'approvvigionamento urbano piuttosto che per l'agricoltura, e l'imminente riduzione della disponibilità di petrolio.
Brown ricorda chiaramente che il fenomeno che desta maggiore preoccupazione è la continua crescita demografica. Ogni anno 79 milioni di persone in più si siedono alla nostra tavola planetaria. Sfortunatamente, la stragrande maggioranza di queste, nasce in paesi ove è compromessa la fertilità dei suoli, le falde acquifere sono in via di esaurimento ed i pozzi per l'irrigazione si stanno prosciugando. Ovviamente se non riusciremo a frenare la crescita demografica, potremmo non riuscire a sconfiggere la fame.
Allo stesso tempo, mentre la popolazione aumenta, circa 3 miliardi di persone mirano a salire nella catena alimentare, consumando maggiori quantità di carni di animali, a loro volta nutriti da mangimi basati sui cereali.
In cima a questa catena alimentare troviamo gli Stati Uniti e il Canada, dove ogni abitante consuma una media di 800 kg di cereali l'anno, prevalentemente per via indiretta sotto forma di carne bovina, suina e ovina, latte e uova. Al fondo della catena troviamo l'India, dove vi è un consumo di cereali di meno 200 kg l'anno pro capite, dei quali la maggior parte in forma diretta, mentre solo una parte trascurabile sono convertiti in proteina animale.
Come se non bastasse, ci sono nel mondo i proprietari di 910 milioni di automobili: tutti vogliono mantenere il proprio livello di mobilità attuale e pochissimi sono interessati a sapere se il carburante che consumano proviene da un pozzo petrolifero o da un campo di mais. La corsa agli investimenti nelle raffinerie di bioetanolo che ha seguito l'aumento dei prezzi della benzina negli Stati Uniti nel 2005, in conseguenza dell'uragano Katrina, ha provocato un aumento nella domanda globale di mais da circa 20 milioni di tonnellate l'anno, a più di 40 milioni sia nel 2007 che nel 2008, in una competizione epocale per il consumo di cereali tra macchine ed esseri umani.
Guardando alle sfide dal lato dell'offerta, l'erosione dei suoli sta attualmente intaccando la produttività di circa il 30% delle terre coltivabili. In alcuni paesi, come il Lesotho o la Mongolia, la perdita di suolo è arrivata a dimezzare la produzione di cereali nell'arco di trent'anni. In Kazakistan, il luogo scelto mezzo secolo fa per il progetto sovietico delle Terre Vergini (Soviet Virgin Lands), il 40% dei campi è stato abbandonato a partire dal 1980. Le gigantesche tempeste di polvere che prendono origine dall'Africa sub-sahariana, dal nord della Cina, dalla Mongolia occidentale e dall'Asia Centrale testimoniano che sono sempre più numerose le aree del pianeta che stanno perdendo la componente organica del suolo.
Brown che è particolarmente esperto nelle questioni agricole, ci ricorda che mentre il fenomeno della riduzione dello strato superficiale di terreno produttivo è nato con le prime coltivazioni di grano ed orzo, il trend dell'abbassamento delle falde acquifere è storicamente recente, dato che la tecnologia necessaria a pompare acqua dal sottosuolo ha appena qualche decennio. La conseguenza è il calo di livello delle falde idriche in paesi che, sommati insieme, ospitano la metà della popolazione mondiale. I pozzi si seccano mano a mano che gli acquiferi si esauriscono laddove si diffonde l'usanza di pompare acqua di falda in quantità eccessiva. L'Arabia Saudita ha comunicato che si sta prosciugando la propria falda acquifera principale di origine fossile e che pertanto il paese cesserà completamente produzione di grano entro il 2016. Uno studio della Banca Mondiale dimostra che 175 milioni di persone in India sono nutrite grazie a falde sovra sfruttate, mentre per la Cina si parla di altri 130 milioni di persone.
Anche i cambiamenti climatici minacciano la sicurezza alimentare. Da un certo punto in poi, l'aumento delle temperature rappresenta un problema per la produzione agricola. Ogni aumento di 1 grado Celsius durante la stagione vegetativa, può significare per i coltivatori una diminuzione del 10% dei raccolti di grano, riso e mais. Al crescere della temperatura, i ghiacciai montani stanno fondendo in tutte le località del mondo. Il continente più colpito è l'Asia, poiché sono i ghiacciai della catena himalayana e dell'altopiano tibetano a rifornire d'acqua i grandi fiumi che attraversano India e Cina e dai quali sono alimentati i sistemi di irrigazione durante la stagione secca. In Asia, i campi di riso e di frumento dipendono da questi corsi fluviali. Come ci ricorda Lester Brown la Cina è il più grande produttore al mondo di frumento. L'India è il secondo mentre al terzo posto ci sono gli Stati Uniti). Gli stessi due paesi vantano i più grandi raccolti al mondo di riso. Qualunque cosa succeda alle produzioni di questa coppia di giganti demografici influenzerà il prezzo degli alimenti in tutto il mondo. Anzi, la prevista fusione dei ghiacciai da cui dipendono questi due paesi è probabilmente il più grave pericolo per la sicurezza alimentare mai affrontato dall'umanità.
Le ultime informazioni disponibili sull'aumento del ritmo di fusione delle calotte polari in Groenlandia e nell'Antartico Occidentale ci dicono che questo fenomeno combinato con l'espansione termica degli oceani, potrebbe far salire il livello del mare di quasi due metri nell'arco di questo secolo. Tutti i delta fluviali dell'Asia, zone di coltivazione del riso, sono minacciate dalla fusione delle calotte. Brown ricorda che basterebbe un innalzamento di un metro per distruggere le risaie del delta del Mekong, corrispondente a più della metà del raccolto del riso vietnamita, che ne è il secondo esportatore al mondo. Una mappa elaborata dalla Banca Mondiale mostra che l'innalzamento dei mari di un metro inonderebbe la metà delle terre coltivate a riso in Bangladesh, dove abitano 160 milioni di persone. Il destino di centinaia di milioni di individui che dipendono dai raccolti delle risaie poste nei delta fluviali e nelle pianure alluvionali del continente asiatico è legato a doppio filo al destino delle due grandi calotte polari e ci dimostra, ancora una volta, l'importanza, come indicato dai grandi programmi di ricerca dell'Earth System Science Partnership (ESSP) di considerare la complessità dei problemi e le interrelazioni tra tutte le sfere presenti sul nostro bellissimo pianeta, dalla sfera dell'acqua a quella del suolo, dalla sfera dell'aria a quella della vita, legate tutte alla sfera della specie umana (l'antroposfera).
Avremo modo in altre occasioni, in questa rubrica, di approfondire ulteriormente altri aspetti che provocano l'incremento del problema dell'insicurezza alimentare. E' di tutta evidenza che una situazione di questo tipo è assolutamente inaccettabile per il nostro futuro e che, ancora una volta, l'attuazione concreta di un Piano B diventa quanto mai, sempre più urgente. (Gianfranco Bologna - greenreport.it)
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