MILANO – Brasile, Stati Uniti e Cina per la classifica assoluta; Singapore, Corea del Sud e Qatar per quella relativa alle risorse disponibili. È la «zona medaglie» di uno studio dell'Università di Adelaide, realizzato in collaborazione con la National University di Singapore e la Princeton University, sull'impatto ambientale di tutti i Paesi del mondo, considerando in particolare il tasso di sfruttamento delle risorse naturali. Classifica con qualche sorpresa e parecchie conferme: la top ten propone un'istantanea ancora sconsolante del rapporto che le nazioni hanno con il proprio patrimonio ambientale e mette seriamente in discussione l'ormai condiviso concetto di «sviluppo sostenibile».
I SETTE CRITERI - Gli esperti dell'Istituto ambientale dell'università australiana hanno messo a punto sette indicatori capaci di fotografare il tasso di degrado ambientale di ciascuna nazione, ignorando volutamente il fattore umano ed economico. I parametri considerati sono: utilizzo di fertilizzanti, deforestazione e perdita dei terreni boschivi, conversione dell'habitat naturale, sfruttamento ittico, inquinamento idrico, emissione di anidride carbonica e specie a rischio di estinzione. Rispetto a questi criteri gli studiosi hanno poi stilato una lista nera dei più eco-indisciplinati in termini relativi, ovvero proporzionalmente alle risorse di cui ogni Paese dispone, e in termini assoluti.
INDICE DI IMPATTO AMBIENTALE ASSOLUTO – Quelli che escono peggio per quanto riguarda l'impatto ambientale assoluto e l'eccessivo sfruttamento sono Brasile, Stati Uniti, Cina, Indonesia, Giappone, Messico, India, Russia, Australia e Perù (l’Italia figura al 38°posto). I dieci più virtuosi risultano invece Antigua & Barbuda, St. Lucia, Grenada, Gibuti, Barbados, Swaziland, St. Vincent & Grenadine, Gambia, St Kitts & Nevis, Tonga, con sei isole dei Caraibi nei primi dieci posti. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica online PlosOne, si focalizza insomma sulla capacità (o incapacità) di conservare al meglio il proprio habitat, fattore che, secondo il principale autore dello studio, Corey Bradshaw, «è alla base della crisi ambientale mondiale».
INDICE DI IMPATTO AMBIENTALE PROPORZIONALE – Nella classifica gli stati meno eco-friendly rispetto alle proprie risorse sono risultati Singapore, Corea del Sud, Qatar, Kuwait, Giappone, Thailandia, Bahrain, Malaysia, Filippine e Olanda. Quindi nove nazioni asiatiche ai primi nove posti. Mentre i Paesi con il minore impatto proporzionalmente alle proprie risorse sono stati giudicati Capo Verde, Repubblica Centrafricana, Swaziland, Antigua & Barbuda, Niger, Grenada, Samoa, Tonga, Gibuti, Tagikistan.
CERTEZZE SFATATE - Scorporando i dati che scaturiscono dalla black list dei ricercatori australiani, emergono altre informazioni che suggeriscono importanti riflessioni. In generale per esempio si è sempre creduto che siano i Paesi più ricchi a rispettare meno l'ambiente, tanto da coniare la regola (generalmente valida) secondo la quale quanto più una nazione è ricca, tanto maggiore è il suo impatto sull'ambiente. Ma il primato del Brasile e di altri Stati ancora molto poveri nell'hit parade assoluta mette in discussione questa sicurezza, così come non trova alcuna conferma la teoria conosciuta come curva di Kuznets ambientale, in base alla quale un Paese, raggiunto un certo livello di ricchezza pro capite, smetterebbe di inquinare grazie a un'elevata e diffusa coscienza ambientale. In entrambe le scale di valutazione troviamo invece, tra i più ambientalmente integri, Paesi poco interessati dallo sviluppo economico e industriale. Si tratta spesso di economie che da un certo punto di vista vengono considerate ancora arretrate. E da un altro punto di vista sono forse più avanti degli altri. (Emanuela Di Pasqua - corriere.it)
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