ROMA - Sicilia. Calabria. Campania. Lazio. Toscana. Sardegna. Riviera Adriatica. Riviera Ligure. E poi Costa Azzurra, Spagna, Portogallo. E il sud. Grecia, Egitto, Marocco. «Una strage silenziosa » la chiamano. Perché le palme non possono urlare, piangere, chiedere aiuto. Ma si spengono. Abbassano le loro chiome ormai secche e danno l’addio a viali, ville, giardini, lungomari. E quando ci si accorge della loro sofferenza è ormai troppo tardi: il rhynchophorus ferrugineus ha vinto. È un’epidemia che come un’onda sta attraversando la Penisola, le sue coste soprattutto, e rischia di modificare per sempre paesaggi unici, amati e conosciuti in tutto il mondo. Le palme muoiono, vengono abbattute e bruciate. E in molti luoghi, mai più ripiantate, «per evitare nuovi contagi». Perché il «punteruolo rosso» non ha pietà: arriva alla base della pianta, si attacca, poi sale su in cima e s’infila dentro, tra le foglie della palma. Lì comincia la sua vita. Lì comincia la fine di quella della pianta.
Per ora l’insetto arrivato dall’Asia a metà anni 90 predilige le Phoenix canariensis, «ma tra poco passerà alle altre, le Washingtonie e le Chamaerops: è un’emergenza nazionale», dice Antimo Palumbo. È uno storico degli alberi, «noi e loro siamo uguali» sorride. Vive a Roma e, attraverso Corriere. it, ha più volte denunciato la situazione di immobilismo delle istituzioni «rassegnate alla strage silenziosa»: quasi 12 mila palme morte in Sicilia, trentamila malate; San Benedetto del Tronto e tutta la Riviera adriatica decimate; il litorale romano devastato, «a Sabaudia il punteruolo entra nelle case», Ostia ha ormai solo obelischi calvi. Trecentomila a rischio in Liguria. E poi Roma: Villa Torlonia, Villa Sciarra, Villa Celimontana, Villa Blanc e tutta la città. Su 5 mila palme, centinaia morte, almeno il 5 per cento colpito. «Servono la Protezione civile, almeno 5 milioni di euro e un coordinamento nazionale per un’epidemia paragonabile alla prima diffusione dell’Aids», sostiene Palumbo. Ma le istituzioni non hanno soldi. Un addetto specializzato della Regione Lazio ha raccontato a Corriere.it che «i primi comuni colpiti hanno chiesto aiuti per tamponare l’emergenza, ma dalla Pisana: non ci sono fondi».
Abbattere una palma morta costa circa 1.500 euro: non basta tirarla giù, bisogna avvolgerla con dei teli e portarla nei centri di stoccaggio per evitare che il coleottero e le sue larve volino via e contagino altre piante. «Procedimenti costosi - dice l’assessore romano all’Ambiente Fabio De Lillo - che i privati quasi mai seguono ». A Roma da marzo un’ordinanza obbliga i privati a denunciare la proprietà di una palma, una specie di censimento. E De Lillo promette «una commissione permanente e un congresso internazionale entro l’estate». In attesa, le grida d’aiuto affollano il web. Siti, blog e gruppi su Facebook per le palme di tutta Italia. Con i palmiers che fanno i funerali alle piante morte. Tam tam per sollecitare e cercare soluzioni. Lotta chimica o biologica. Farmaci nebulizzati o vermicelli e pavoni che mangiano le larve. In Sicilia, l’Università di Palermo ha il progetto «Adotta una trappola»: scatoline arancioni con feromoni per attirare gli insetti e intrappolarli. «Ma non basta - sospira lo storico degli alberi -: se lo Stato pensa che la palma in Italia sia un bene come le Mura Aureliane, allora deve intervenire». (Claudia Voltattorni - corriere.it)
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