Marea nera: inarrestabile su coste, minacciati gli abissi

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Sabato, 1 Maggio 2010

 

La marea nera che ha messo in ginocchio il Golfo del Messico ''procede inarrestabile sulle coste statunitensi''. ''Le statistiche ci insegnano che, in condizioni normali, in caso di sversamento di petrolio in mare non si e' mai riusciti a raccogliere piu' del 10-15 per cento di greggio. L'85%, quindi, finisce sulla costa''. Intanto e' anche emergenza fondali: ''Per la prima volta al mondo uno sversamento di petrolio avviene a una profondita' di oltre 1.500 metri''. Sotto minaccia un habitat per lo piu' sconosciuto, che vive ''senza giorno e senza notte'' e che si puo' considerare un 'eterno imperturbato'. E, a lungo termine gli effetti riguarderanno, nella fauna, insorgenza di tumori, prole deforme e modificazioni genetiche. A tracciare il drammatico bilancio delle conseguenze dell' affondamento della piattaforma Deepwater Horizon, dieci giorni fa, e' Ezio Amato, gia' responsabile del servizio emergenze ambientali in mare dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), oggi in forza alle Nazioni Unite. Uccelli 'marchiati' di nero, pesci morti e litorali intaccati: questo e' quello che appare subito evidente. E per almeno 50 anni si conteranno i danni. Ma ora la corsa contro il tempo e' 'chiudere il rubinetto' che, dalle profondita' marine, sputa letteralmente litri e litri di greggio al giorno in mare aperto (200mila litri le perdite quotidiane stimate). ''Questa e' la sfida principale perche' si tratta di porre rimedio - ha detto Amato, che ha condotto le indagini sulla nave dei veleni a largo delle coste cosentine - con un'operazione di robottizzazione a una enorme profondita' e li' e' come rimettere il tappo a una bottiglia di champagne. Chiudere il flusso e' un' operazione molto complicata e molto lunga perche' viene condotta in remoto con i robot che sono filoguidati. Il problema e' che il petrolio - ha spiegato l'esperto - non esce da un pozzo come quello dell'acqua ma da minuscole porosita' della roccia dalle quali il sistema di pompaggio con la pressione succhia il petrolio''. Ma ormai tutta l'area e' ''impattata''. ''Il petrolio - ha sottolineato Amato - tende a perdere le frazioni piu' leggere mentre quelle piu' pesanti affondano. Ed e' quanto e' accaduto per i disastri della Prestige, di Erika e della Haven''. Un affondamento di ''grandissime quantita' di inerti che continuano pero' a mantenere intatte - ha messo in guardia l'esperto di emergenze marine - le caratteristiche di nocivita' ambientale che hanno effetti a lungo termine''. Infatti ''l'impatto piu' importante delle sostanze petrolifere sono gli effetti traslati nel tempo come insorgenze di tumori negli animali, prole deforme, modificazioni genetiche. Sara' poi difficile da mon itorare per esempio per quanto riguarda i tumori del fegato nei pesci che vivono in prossimita' dei fondali''. In queste ore, ha detto ancora Amato, ''occorre minimizzare gli effetti in superficie con le panne galleggianti o i disperdenti. Si e' provato anche incendiando il greggio''. In profondita' si pensa a posizionare un enorme paracadute ancorato al fondo con un tubo attaccato alla cupola che pompa il greggio verso la superficie per recuperarlo ''ma - ha sottolineato Amato - mettere a punto questa tecnica e' difficilissimo perche' non e' stata mai tentata al mondo''. ''Il risultato - ha concluso l'esperto - e' che comunque si tratta di una tragedia in atto che durera' tantissimo e il cui impatto e' devastante''. (Elisabetta Guidobaldi - ANSA)

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