Il 97% degli esperti è convinto: i cambiamenti sono causati dell’uomo

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Martedì, 29 Giugno 2010

 

NAPOLI. Il 97% dei 100 scienziati più esperti di clima al mondo pensa che abbia sostanzialmente ragione l'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) e che c'è una forte impronta umana sui cambiamenti climatici in atto. Lo affermano Stephen Schneider e tre suoi colleghi in un report dal titolo Export credibility in climate change (la credibilità degli esperti sui cambiamenti del clima) pubblicato nei giorni scorsi sui Proceedings of National Academy of Sciences (PNAS) degli Stati Uniti d'America.

È un articolo che descrive un fatto con la forza dei numeri: la gran parte della comunità scientifica che si occupa di clima pensa (e scrive) non solo che i suoi cambiamenti siano reali, ma che siano causati in larga parte dalle attività umane. Ma che non risolve due problemi: chi deve essere considerato esperto nell'agone scientifico e quale peso relativo bisogna dargli nel dibattito pubblico sulle grandi scelte che chiamano in campo la scienza?

Iniziamo dai fatti. Come i lettori di greenreport sanno bene c'è un dibattito acceso in fatto di clima. Da una parte il gruppo di scienziati organizzati dalle Nazioni Unite, l'IPCC, che sostiene nei suoi rapporti - che sono letteratura scientifica secondaria, ovvero non risultati di ricerche fatte in proprio, ma analisi e interpretazione sintetica dei lavori realizzati dall'intera comunità scientifica - che sostiene, come abbiamo detto, la presenza di una forte impronta umana sui cambiamenti del clima, dall'altra un gruppo di scienziati che è scettica rispetto a questa affermazione.

L'IPCC e molti altri scienziati che sono sulle sue medesime posizioni - chiamiamoli "i convinti" - sostengono da tempo di rappresentare non solo la grande maggioranza dei colleghi esperti, ma anche la grande maggioranza dei colleghi più esperti in assoluto. Insomma, "i convinti" affermano di essere i più esperti e in schiacciante maggioranza. Al contrario, "gli scettici" sostengono che l'IPCC risponde più a logiche politiche che scientifiche, perché non ci sono prove empiriche definitive che corroborano la sua interpretazione dei dati climatologici.

La querelle si è inasprita perché il dibattito si svolge (per lo più) sui mass media, che - almeno a detta dei "convinti" - tendono a dare eguale credibilità alle due posizioni.

Stephen Schneider (Nella foto) e William Anderegg (della Stanford University) insieme a a James Prall (della University of Toronto) e a Jacob Harold (della Hewlett Foundation di Palo Alto) hanno deciso di tagliare la testa al toro e di andare a vedere, numeri alla mano, chi ha ragione. Hanno individuato 1.372 ricercatori che hanno pubblicato articoli scientifici sul clima e hanno firmato dichiarazioni multiple e pubblica sull'origine antropica dei cambiamenti del clima.

Hanno scelto, tra questi, coloro che hanno pubblicato almeno 20 articoli scientific su riviste con peer review. Il novero si è ridotto a 908 ricercatori. Tra questi hanno verificato chi ha pubblicato di più: considerando la quantità di articoli un indicatore di espertise e, dunque, di prominence (ovvero di autorevolezza) e, dunque, di credibility (credibilità).

Ebbene, tra i 50 ricercatori che hanno più pubblicazioni 49 sono "convinti" (98%) e soli 1 è "scettico (2%). Tra i 100 che hanno pubblicato di più, 97 sono "convinti" e solo 3 "scettici". Tra i 200 che hanno pubblicato di più, 195 sono "convinti (97,5%) e solo 5 sono "scettici" (2,5%).

Inoltre, riferendosi ai 1.372 iniziali, quasi l'80% dei "convinti" ha più di 20 pubblicazioni. Mentre soli il 15% degli "scettici" ha più di 20 pubblicazioni.

Ancora, i 50 ricercatori che hanno maggiori pubblicazioni tra i "convinti" ne hanno, in media, 408. I 50 ricercatori che hanno maggiori pubblicazioni tra gli "scettici" ne hanno 89.

Il discorso non cambia quando da indicatori di pura quantità si passa a indicatori di qualità. Quando si esaminano i quattro articoli più citati di tutti i 908 ricercatori con più di 20 pubblicazioni, risulta che i migliori articoli dei "convinti" sono stati citati dai colleghi in media 172 volte, mentre i migliori articoli degli "scettici" sono stati citati dai colleghi in media 105 volte.

Fin qui i numeri, che dimostrano inequivocabilmente che la gran parte delle persone esperte che si sono espresse pubblicamente sull'impronta umana sui cambiamenti del clima sono "convinti" e che il grado di convinzione tende a crescere con il grado di esperienza e con la bravura riconosciuta dai colleghi.

Ma, dicevamo, ci sono dei "ma". Il primo dubbio è: è davvero possibile misurare con parametri quantitativi e quanto/qualitativi l'expertise di uno scienziato? Il secondo è: non diceva, forse, Galileo galilei che la scienza non è un'arena dove si decide a maggioranza e non diceva Robert Merton che valori tipici della comunità scientifica sono l'universalismo (non vale l'ipse dixit) e lo scetticismo sistematico (tutto deve essere provato, anche se a dirlo sono la maggioranza degli esperti)?

Questi due "ma" suggeriscono prudenza. Tuttavia restano, appunto, i fatti noti (ancorché contingenti). La stragrande maggioranza degli esperti è convinta che l'IPCC abbia ragione. E tanto i politici quanto i cittadini nel prendere le decisioni ce loro competono non possono fare altro che considerare che il 97 o il 98% delle persone più esperte in fatto di clima è convinto che i suoi cambiamenti siano causati dall'uomo. (greenreport.it)

PS: leggere articoli come questo mi preoccupa ancor di più quando mi accorgo che non basta nemmeno un quasi totale accordo da parte del mondo accademico a rendere giustificati quei necessari cambiamenti, per cui mi chiedo cos'altro dovrà ancora accadere per decidere di cambiare registro? Crediamo forse che una prolungata attesa non aggravi ulteriormente il processo di destabilizzazione del pianeta? (RG)

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