Ottanta oasi rinascono nel Sahara per festeggiare la giornata mondiale della lotta contro la desertificazione. L'iniziativa è stata finanziata dal governo regionale dell'Adrar, in Algeria, e promossa dall'Itki, l'Istituto per le conoscenze tradizionali che l'Unesco ha voluto collocare a Firenze. Si salveranno anche i graffiti paleolitici che con le loro immagini di elefanti testimoniano l'epoca in cui la zona non era deserto.
L'Algeria ha stanziato cinque milioni di euro per recuperare le foggara, vere e proprie "miniere" di acqua. E' una tecnica molto antica che si basa sulla capacità di estrarre acqua dall'umidità notturna: una rete di gallerie orizzontali corre sotto la superficie del deserto e cattura la condensazione che si forma sulle pietre. Questo metodo, in alternativa a pozzi sempre più profondi, evita di intaccare il capitale idrico delle falde di acqua fossile, quella che non si ricarica con le piogge. Inoltre l'opera di restauro sarà condotta, usando materiale tradizionale, da associazioni locali, le stesse che nel futuro continueranno a mantenerle in attività con consistenti vantaggi in termini economici, ambientali e di gas serra evitati.
Le 80 foggara recuperate serviranno a rivitalizzare altrettante oasi, circa un terzo di quelle esistenti nella regione. "Tra queste", spiega Pietro Laureano, presidente dell'Itki ed esperto di conservazione delle oasi, "ci sono oasi disposte come un nastro verde all'interno del Sahara, ma anche oasi isolate. La più importante è situata in un'area senza centri abitati o strade per circa 150 chilometri quadrati. Gli abitanti, 50 famiglie, hanno rifiutato di abbandonarla per andare a vivere in città: il restauro della foggara permetterà il mantenimento del palmeto che dà da vivere all'intero villaggio. In quest'area, tra l'altro, abbiamo trovato un graffito paleolitico in cui si vede una mandria di elefanti, a ulteriore dimostrazione del fatto che il Sahara 15 mila anni fa era una grande area verde".
La desertificazione è arrivata ormai a minacciare un quarto delle terre del pianeta e oltre un miliardo di abitanti nei 100 Paesi maggiormente interessati. La situazione più drammatica è quella africana, dove è a rischio il 73 per cento delle terre aride coltivate. Il Sahara, insomma, avanza e per fermarlo è spesso più conveniente ricorrere alle tecniche tradizionali che ai metodi che comportano alti costi economici ed energetici. (Antonio Cianciullo - repubblica.it)
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