Acidificazione degli oceani. La bandiera rossa di pericolo che nessuno vede

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Venerdì, 3 Dicembre 2010

 

Il Programma Onu per l'ambiente (Unep) ha presentato alla Cop 16 Unfccc di Cancun il rapporto "Environmental consequences of ocean acidification", redatto in collaborazione con il Plymouth marine laboratory e con scienziati provenienti da altre organizzazioni tra cui il National oceanography centre di Southampton e l'Intergovernmental eceanographic Commission dell'Unesco, che traccia un quadro molto preoccupante di un fenomeno gravissimo e praticamente ignorato nei colloqui internazionali sul clima: l'acidificazione degli oceani causata dall'aumento delle emissioni di CO2 nell'atmosfera. Un fenomeno che secondo lo studio Unep «Minaccia la vita marina e le popolazioni di tutto il mondo. L'impatto futuro delle crescenti emissioni sulla salute dei mari e degli oceani potrebbe essere molto più ampio e complesso di quanto precedentemente supposto». Il rapporto dice che la chimica degli oceani viene alterata ad una velocità che non si vedeva da 65 milioni di anni, dall'epoca dell'estinzione dei dinosauri. Il pH medio del mondo marino si è ridotto del 30% e la concentrazione di ioni di carbonato è scesa del 16% a partire dalla rivoluzione industriale.

Presentando il rapporto a Cancun, il direttore dell'Unep, Achim Steiner, ha sottolineato che «L'acidificazione degli oceani è l'ennesima bandiera rossa che sventola per lanciare l'allarme per la salute planetaria riguardo alla crescita incontrollata delle emissioni di gas serra. E' un nuovo fenomeno che emerge dal puzzle scientifico e che alimenta sempre più preoccupazione. A tutt'oggi non sappiamo se l'acidificazione degli oceani da sola si rivelerà essere una sfida maggiore o minore per l'ambiente marino e per la sua catena alimentare, ma il fenomeno si presenta in un contesto di mari e oceani già stressati da una pesca eccessiva e da altre forme di degrado ambientale. Così l'opinione pubblica potrebbe giustamente chiedere quante bandiere rosse di pericolo i governi abbiano bisogno di vedere prima che ricevano il messaggio di agire».

L'acidificazione degli oceani, cioè la diminuzione del pH nell'acqua dovuta all'aumento della concentrazione di CO2 nell'atmosfera che viene assorbita (il 25%) dagli oceani, è considerata dai ricercatori che lavorano sui cambiamenti climatici come uno dei problemi maggiori, visto che aumenta con l'assorbimento dei gas serra da parte degli oceani. Secondo il rapporto «Alcuni organismi come i coralli o i crostacei, nei prossimi decenni potrebbero non essere più in grado di svilupparsi. I loro scheletri soffriranno direttamente dell'acidificazione del loro ambiente».

Lo studio prevede che «Il tenore del pH diminuirà dello 0,3 prima della fine del XXI secolo, il che rappresenta un aumento dell'acidità del 150%, minacciando direttamente le specie e le popolazioni». L'effetto a catena si ripercuoterebbe da granchi, cozze e altri molluschi e dalle specie dipendenti barriere coralline ai predatori, come il salmone, che si nutrono di piccoli organismi con conchiglie, come ad esempio i ptetropodi. Ma anche i pesci pagliaccio, resi famosi dal cartoon Disney "Alla ricerca di Nemo", potrebbero diventare più facili prede con la scomparsa degli anemoni che li ospitano. Un bel problema non solo ambientale, ma anche economico e sociale, visto che i crostacei forniscono il 15% delle proteine animali per 3 milioni di persone nel mondo». Circa l'80% delle catture di pesce si verificano in appena il 10% della superficie degli oceani, compresi settori essenziali quali la piattaforma continentale e gli estuari, il rapporto afferma che molte di queste aree sono indicate come molto vulnerabile all'acidificazione degli oceani entro questo secolo.

Il principale autore dello studio, Carol Turley, knowledge exchange coordinator del'Ocean acidification research programme della Gran Bretagna, ha spiegato a Cancun: «Da quando gli scienziati di tutto il mondo hanno iniziato ad indagare sul potenziale impatto potenziale dell'acidificazione degli oceani, stiamo assistendo ad un complesso impatto negativo dell'acidificazione degli oceani direttamente sugli organismi e su alcuni ecosistemi chiave che aiutano a fornire cibo per miliardi di persone. Dobbiamo cominciare a pensare al rischio per la sicurezza alimentare. I ricercatori sono stati impegnati sulle frontiere della scienza rispetto all'acidificazione degli oceani e sul suo impatto potenzialmente complesso per l'ambiente marino ed I suoi organismi. Alcune ricerche hanno indicato che, per esempio, le aragoste adulte, potrebbero effettivamente aumentare la costruzione della corazza in risposta alla diminuzione dei livelli di pH e che il novellame potrebbe essere meno in grado di costruire scheletri sani. Una simile possibilità può verificarsi nel caso di adulti e forme giovanili di pesci, compromettendo i sistemi olfattivi o odoriferi nella fase giovanile di alcune specie, ma resterebbero inalterati negli adulti. Nel frattempo, ci sono prove di altri cambiamenti curiosi da sapere se le emissioni continuano ad aumentare e le concentrazioni di C02 continuano ad accumularsi nei mari e negli oceani. Ad esempio, una parte degli scienziati evidenzia che le ofiure, una parte importante della catena alimentare marina, possono aumentare lo "shell-building" a svantaggio della formazione dei muscoli, una certa scienza suggerisce. Chiaramente non è sufficiente a guardare ad una specie. Gli scienziati dovranno studiare tutte le componenti del ciclo della vita per vedere se certe forme sono più o meno vulnerabili. Intanto, la capacità, o l'incapacità, di costruire scheletri a base di calcio può non essere l'unico impatto dell'acidificazione sulla salute e la vitalità di un organismo: quello delle ofiure è forse un caso esemplare». Gli studi su cozze e ricci di mare hanno però dimostrato che queste specie riescono solo parzialmente, e spesso per nulla, ad innescare un meccanismo di compensazione, il che le rende potenzialmente più vulnerabili.

Tra i "vincenti" ci potrebbero essere le piante marine che potrebbero beneficiare di una crescente acidificazione. Ma gli "studies of natural C02 vents in the Mediterranean Sea" dimostrano che anche se ci sono alcuni "vincitori" l'ecosistema rischia di essere alterato in altri modi.

Il rapporto chiede ai governi ed ai responsabili politici di prendere in considerazione una serie di azioni tra le quali: Tagli rapidi e sostanziosi alle emissioni di CO2 antropiche in atmosfera, al fine di ridurre l'acidificazione degli oceani; Determinare la vulnerabilità all'acidificazione degli oceani delle comunità umane che dipendono dalle risorse marine; Identificare le specie che sono più flessibile al cambiamento e valutare come queste possono influenzare gli ecosistemi e la sicurezza alimentare; Ridurre la pressione sugli stock ittici alimentari per fornire le migliori possibilità di successo attraverso, per esempio, la pianificazione dello spazio marino o la ri-valutazione delle risorse disponibili e del loro utilizzo; Valutare le opzioni per lo sviluppo di attività di acquacoltura ecosostenibile, utilizzando le specie che possono essere più resistenti alla diminuzione del pH; Inserire la scienza dell'acidificazione degli oceani negli strumenti di gestione della pesca. (greenreport.it)

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