Signori, si chiude. Se il pianeta fosse gestito come una famiglia all'antica, di quelle che non chiedono prestiti, domani dovrebbe serrare i battenti: le risorse sono finite. Ovviamente il mondo andrà avanti, ma a credito. Prenderemo energia, acqua e minerali a spese del futuro, restringendo il capitale di natura che abbiamo a disposizione. Il 25 settembre è l'Earth Overshoot Day, il momento dell'anno in cui la specie umana ha esaurito le risorse rinnovabili a disposizione e comincia a divorare quelle che dovrebbero sostenere le prossime generazioni.
A calcolare la data è il Global Footprint Network, l'associazione che misura l'impronta ecologica dell'umanità, cioè il segno prodotto sul pianeta dalla nostra vita quotidiana: dalle bistecche che mangiamo, dai cellulari che compriamo, dagli aerei che usiamo. Per millenni, fino alla rivoluzione industriale, questo segno è rimasto sostanzialmente invisibile. Ci sono stati scompensi ecologici anche violenti, ma localizzati: a livello globale gli effetti prodotti dall'esistenza di centinaia di milioni di esseri umani si confondevano con le oscillazioni periodiche della natura.
L'impatto si è fatto più consistente dall'inizio dell'Ottocento, ma solo negli ultimi decenni è cominciata la crescita drammatica che, a parte la battuta d'arresto prodotta dalla crisi economica, non accenna ad arrestarsi. Nel 1961 l'umanità consumava la metà della biocapacità del pianeta. Nel 1986 ci siamo spinti al limite ed è arrivato il primo Earth Overshoot Day: il 31 dicembre le risorse a disposizione erano finite. Nel 1995 la bancarotta ecologica è arrivata il 21 novembre. Dieci anni dopo i conti con la natura sono entrati in rosso già il 2 ottobre. Ora siamo retrocessi fino al 25 settembre: consumiamo il 40 per cento in più rispetto alle risorse che la Terra può generare. Nel 2050, se la crisi energetica non ci avrà costretto alla saggezza ecologica, per mantenere i conti in pareggio avremo bisogno di un pianeta gemello da usare come supermarket per prelevare materie prime, acqua, foreste, energia.
Forse non andrà così perché l'Earth Overshoot Day cade 80 giorni prima della conferenza di Copenaghen che costringerà il mondo a fare i conti con la più drammatica delle minacce create dal sovra consumo: il caos climatico derivante dall'uso smodato dei combustibili fossili e dalla deforestazione. La conferenza delle Nazioni Unite dovrà indicare la terapia per far scendere la febbre dell'atmosfera e la cura per ridurre le emissioni serra servirà anche a diminuire l'impronta complessiva dell'umanità.
L'esito del summit di Copenaghen appare però incerto ed è probabile che si concluderà con una faticosa mediazione, mentre solo una scelta forte a favore dell'innovazione tecnologica e di un ripensamento sugli stili di vita può rallentare il sovra consumo che mina gli equilibri ecologici. "La contro prova l'abbiamo avuta adesso", commenta Roberto Brambilla, delle Rete Lilliput che cura, assieme al Wwf, il calcolo dell'impronta ecologica. "Abbiamo sperimentato la crisi più grave dal 1929 e il risultato, in termini ecologici, è stato modesto: l'anno scorso l'Earth Overshoot Day è arrivato il 23 settembre, quest'anno il 25. Il colpo durissimo subito dall'economia mondiale ha spostato la data di soli due giorni. Questo significa che, se non si cambia il modello produttivo, neppure la malattia del sistema, con tutti i problemi connessi, può guarire l'ambiente. Al contrario diminuire il peso dell'impronta ecologica potrebbe aiutare l'economia. Ad esempio il 97 per cento del nostro patrimonio edilizio è costruito in modo inefficiente: ci sarebbe da fare cappotti isolanti per le pareti, tetti verdi e finestre con vetri ad alto isolamento da oggi al 2030". (Antonio Cianciullo - repubblica.it)
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