ROMA - Si gonfiano e danzano, pieni di acqua e sospinti dalle correnti. Sembrano meduse e le tartarughe li ingoiano. Muoiono soffocate. Vengono usati per venti minuti, ma poi l'ambiente per distruggerli impiega 400 anni. Nessun equilibrio tra tempo d'uso e tempo di vita. Gli italiani non riescono a farne a meno, ne producono tra i 10 e i 15 miliardi l'anno, immettendo nell'atmosfera qualcosa come 400 mila tonnellate di anidride carbonica. Sono il simbolo del superfluo, di una società che acquista, consuma e distrugge.
Sono i sacchetti di plastica, le shopper usa-e-getta condannate a morire da una direttiva europea, poi ripresa dalla Finanziaria 2007, il primo gennaio 2010. Nel nostro Paese, grazie al "decreto milleproroghe", la sentenza è stata rinviata di un anno. Dodici mesi in più mettere al bando "i sacchi non biodegradabili per l'asporto delle merci", le vecchie borse di polietilene.
Molti credono che la rivoluzione verde tarderà ad arrivare. I produttori e i commercianti accampano scuse, i consumatori neanche quelle: sono così pratiche e comode che farne a meno resta un buon proposito, ma almeno per un giorno - un giorno soltanto - si può fare una cortesia all'ambiente. Non sia mai che qualcuno si accorga di quanto siano superflue le sporte di plastica e decida di rinunciarvi anche per il resto della settimana e dell'anno. Quel giorno è il 12 settembre, prima giornata internazionale senza i sacchetti di plastica.
L'ha promossa il Marine Conservation Society (MCS), società inglese no-profit dedicata alla conservazione dell'ecosistema marino. E ha raccolto ovunque l'adesione convinta degli ambientalisti. In Italia l'associazione dei Comuni virtuosi rilancia con la campagna "Porta la Sporta", ispirata al movimento inglese "Plasticbag Free Cities": invitano le amministrazioni a mettere al bando i sacchetti di plastica, coinvolgono le scuole e i bambini in progetti di riciclo e girano le piazze per insegnare a fare divertenti sportine di tela, da tenere con sé e tirare fuori alla cassa del supermercato. I blogger passano parola e sponsorizzano più che i sacchetti biodegradabili - sul cui smaltimento in tempi rapidi è battaglia di brevetti e studi - le vecchie sacche di tela o di juta, da ripiegare e portarsi appresso.
Torino (VIDEO) ha deciso di non aspettare il Governo e giocando in anticipo cerca di coinvolgere quanti più commercianti possibili per metterle al bando. A Firenze la Unicoop le ha eliminate dai suoi 98 punti vendita.
All'estero hanno già adottato iniziative analoghe: negli Stati Uniti la prima città a vietarne l'uso nei supermercati e nelle farmacie è stata San Francisco; in Gran Bretagna ha cominciato il piccolo comune di Modbury, imitato tra gli altri da Londra. Altri hanno introdotto una tassazione aggiuntiva per chi decide di utilizzarli, qualche centesimo in più da pagare alla cassa del supermercato. Anche la Cina (VIDEO) ha detto addio alle shopper: ne produceva tre miliardi al giorno. L'Italia è in ritardo, ma recuperare è possibile: il 12 settembre è il giorno giusto per dare il proprio contributo.
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