praticabile e concreta all'attuale impostazione del
nostro modello economico, un'alternativa che tutti noi ci auguriamo possa aiutare ad individuare i modi migliori per salvare la nostra civiltà, indirizzandola su nuove strade. Brown invita tutti a lavorare per individuare un Piano B. Il nostro mondo, ci ricorda, ha veramente bisogno del miglior piano possibile.
Il Piano B è quindi l'alternativa all'attuale andamento "business as usual" (BAU), cioè il fare come se niente fosse e proseguire sulla strada in cui ci si è già incamminati da tempo. L'obiettivo del Piano B è invece quello di muovere le nostre società dall'attuale sentiero che ci sta conducendo al declino e al collasso ad un nuovo sentiero che tiene veramente in conto la natura, le sue risorse, i valori umani, la dimensione etica dell'esistenza, ecc.
Nella nostra società urbana e tecnologizzata, immersa nella dimensione culturale della crescita materiale e quantitativa, ci dimentichiamo che l'intera economia e la nostra stessa esistenza, dipendono interamente dai sistemi naturali e dalle risorse del pianeta. Dipendiamo dal sistema climatico, dai cicli idrici, dal suolo, dalle foreste, dagli oceani e dai mari, dalla ricchezza della biodiversità, dal buon funzionamento dei grandi cicli biogeochimici (come quelli del carbonio, dell'ossigeno, dell'azoto, del fosforo), dalla fotosintesi clorofilliana, dalla produttività primaria netta, da tutti quei processi che hanno reso la Terra uno straordinario pianeta biologicamente produttivo.
Ognuno di noi dipende quotidianamente dai prodotti e dai servizi messi a disposizione dagli ecosistemi del nostro splendido pianeta. Oggi il numero di persone che esercita richieste sui sistemi naturali aumenta di giorno in giorno e il nostro sistema economico è costruito in maniera tale da esercitare una pressione insostenibile sulle stesse capacità evolutive dei sistemi naturali della Terra, compromettendone il loro stesso futuro.
Lester Brown nel primo capitolo del suo Piano B 4.0 ricorda l'analisi dettagliata ed aggiornata che viene svolta dal Fund for Peace e dalla Carnegie Endowment for International Peace (vedasi il sito www.fundforpeace.org> che già pubblica il nuovo rapporto 2009, mentre Brown riporta ancora quello del 2008), relativa agli stati che si trovano in crisi o sull'orlo del fallimento per l'intreccio di un insieme di problemi politici, sociali, economici ed ambientali che li attanagliano .
Questa analisi viene resa nota ogni anno, dal 2004, dalla nota rivista statunitense "Foreign Policy". Vengono analizzati 12 indicatori, con un valore da 1 a 10, che vengono poi aggregati in un singolo indicatore, definito il Failed State Index, l'indice di fallimento o di declino delle nazioni.
I primi 20 stati con il più elevato indice di fallimento sono stati nel 2008 (ma nel nuovo rapporto 2009 non si notano differenze particolarmente significative), nell'ordine, la Somalia, lo Zimbabwe, il Sudan, il Ciad, la Repubblica Democratica del Congo, l'Iraq, l'Afghanistan, la Repubblica Centro-Africana, la Guinea, il Pakistan, la Costa d'Avorio, Haiti, Birmania, Kenya, Nigeria, Etiopia, Corea del Nord, Yemen, Bangladesh, Timor-Leste.
La classifica delle nazioni in declino è strettamente legata a indicatori ambientali e demografici. Si tratta di paesi, in genere, con una significativa crescita della popolazione, che presentano quindi alti tassi di fertilità totale, con ampia popolazione giovane sprovvista di sbocchi occupazionali, con situazioni di deterioramento ambientale notevole a causa di deforestazione, deterioramento dei pascoli e delle aree agricole, erosione del suolo, avanzamento della desertificazione, sconvolgimento dei cicli idrici, grave perdita della biodiversità, ecc.
Il deterioramento ambientale si accompagna sempre di più alle crisi del sistema economico dominante che non favorisce certamente i popoli in difficoltà economiche e politiche, difficoltà causate anche dalla crisi del debito, dal mercato internazionale delle armi e dall'autentico saccheggio delle materie prime a favore dell'economie più avanzate del mondo.
Il Piano B si basa sulla migliore scienza e tecnologia disponibile, ma anche e soprattutto, su di un nuovo modo di impostare il nostro sistema economico che deve tenere assolutamente conto il più ampio ecosistema globale dal quale esso dipende e, senza il quale, non può certo vivere .
Quindi per attuare il piano B, non conta tanto la sequenza con la quale concretizzare i vari step che sono stati previsti e che Brown illustra molto efficacemente, con tantissimi esempi concreti, molti dei quali sono già oggi realizzabili e fattibili, a chiara dimostrazione che non si sta parlando di proposte fumose e futuribili. Conta però e molto, la rapidità e la velocità con la quale siamo capaci di realizzarlo.
Come Brown ha già ricordato in tanti altri suoi libri, dobbiamo agire molto rapidamente come se fossimo in una guerra, riorganizzando l'economia energetica del mondo ad un ritmo che ricordi la trasformazione dell'economia industriale degli Stati Uniti nel 1942, dopo l'attacco giapponese di Pearl Harbor.
Il passaggio della produzione di autoveicoli a quello di aerei, carri armati e cannoni venne realizzato nel giro di alcuni mesi. E uno dei segreti di questo processo, straordinariamente rapido, è stato proprio il divieto di vendere automobili che è durato tre anni. Si tratta quindi di avere una reazione straordinaria per rimettere in carreggiata una situazione straordinaria.
Brown si ritiene un'ottimista e pensa che tutti i problemi oggi esistenti possono essere affrontati e risolti con tecnologie già oggi in grandissima parte esistenti ma, soprattutto, ricorda sempre che è necessaria una nuova mentalità, fatta di capacità di futuro e di "visione", di innovazione e di azione immediata.
La sfida è dare vita rapidamente ad una nuova economia basata sulla piena considerazione dei limiti bio-fisici esistenti nei sistemi naturali rispetto al nostro crescente impatto su di essi. Chiunque si occupa da tempo del grande problema relativo al rapporto tra specie umana e natura, sa bene che la soluzione di questo problema presenta certamente tantissime sfaccettature scientifiche e tecniche, sempre più complesse e articolate, ma, fondamentalmente, passa per una vera e propria "rivoluzione culturale", senza la quale rischiamo di perdere questa sfida epocale.
(greenreport.it) |