Poco pesce nel mare. Ora il re della tavola è allevato in vasca

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Venerdì, 27 Marzo 2009

 

L'allevamento ittico sorpassa la pesca. Nel mondo oggi un pesce su due cresce fra le pareti di una vasca prima di finire nel piatto. E mentre i branchi in natura si impoveriscono, l'itticoltura si rivela l'industria alimentare a più rapido tasso di crescita del pianeta.

Gli ultimi dati della Fao pubblicati nel rapporto "The state of world fisheries and aquaculture 2008" non lasciano dubbi: "Nel 2006 il mondo ha consumato 110 milioni di tonnellate di pesce, 51 dei quali provenienti dall'acquacoltura. Se la produzione deve tenere il passo con l'aumento della popolazione, vista la stagnazione della pesca, la crescita futura non potrà che arrivare dall'allevamento". Medici e nutrizionisti non fanno che invitarci a mangiare specie ittiche e ridurre il consumo di carne. Ma la stessa Organizzazione per il cibo e l'alimentazione conferma che una specie marina su tre è soggetta a "sfruttamento eccessivo da parte della pesca".

Per uscire dalla strettoia, in un settore che concentra oltre tre quarti della sua produzione nei paesi in via di sviluppo, non c'è altra soluzione che ricorrere a quelli che Nature in una sua inchiesta di ieri ha definito "polli d'acqua". Ovvero pesci facili da allevare, che si accontentano di mangimi di bassa qualità ma ripagano lo scarso impegno con una carne povera di proteine e di grassi utili alla salute umana. "Tra le 7 specie maggiormente allevate - scrive la rivista - cinque appartengono al genere delle carpe, che hanno bisogno di un'alimentazione meno ricca rispetto ad altri pesci". E che hanno il loro maggior centro di produzione mondiale in Cina. "A questo scopo, anche i pesci carnivori negli allevamenti sono stati costretti ad adottare uno stile più vegetariano. I salmoni ad esempio sono nutriti con una dieta composta per un quarto da soia".

Secondo i dati dell'Inran, Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, non è vero che questo tipo di mangimi riducano il livello di omega 3 nelle carni dei pesci. In un'orata d'allevamento per esempio questi acidi grassi continuano a pesare per il 20-24% del totale. Ad aumentare però, rispetto agli esemplari catturati in mare, sono i livelli di omega 6, in particolare dell'acido linoleico: dal 6-7 per cento al 14-22 per cento. Il rapporto fra i due acidi grassi (che è un indicatore importante per la qualità nutrizionale del pesce) cala dunque da 3-4 a 1,6-0,8.

A pagare questo prezzo dovremmo però rassegnarci, se è vero come indica la Fao che nel 2030 la popolazione mondiale avrà raggiunto gli 8 miliardi e per nutrire tutti serviranno 29 milioni di tonnellate di pesce in più, oltre ai 110 attuali. Le leggi su etichette e standard di produzione cercano di venire incontro ai consumatori, come spiega Stefano Cataudella, che insegna Biologia della pesca e acquacoltura all'università di Tor Vergata: "Dal 2009 è entrato in vigore un regolamento dell'Unione europea sull'acquacoltura biologica, che si caratterizza per la qualità dei mangimi e la spaziosità delle vasche".

Negli Usa invece, informa Nature, la Food and drug administration ha pronto il decreto di approvazione di un tipo di salmone modificato geneticamente per produrre dosi maggiori di ormone della crescita e ridurre di un terzo il tempo necessario a raggiungere la taglia adatta a pescheria o ristorante. (repubblica.it)

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