Nanopolveri, nanoparticelle, polveri sottili. Termini che trovano sempre più spazio non solo nelle sedi accademiche ma anche in quelle mediatiche, soprattutto in merito alla tematica delle emissioni degli inceneritori, anche se l’origine di queste piccolissime particelle è assai più ubiquitaria e complessa. Le fonti di emissioni delle polveri (fini e ultrafini) sono generalmente tutte quelle che derivano da combustione fisse e mobili e quindi impianti di riscaldamento, impianti industriali e tutti i mezzi di trasporto: tra questi i motori diesel e i ciclomotori emettono un quantitativo di polveri, per km percorso, maggiore rispetto ai veicoli a benzina.
Spesso questi termini ( nanopolveri e nanoparticelle) vengono usati come sinonimi, mentre in realtà si tratta di elementi che hanno differenze tra di loro. Le nanopolveri, ovvero il particolato ultrafine, sono particelle con diametro nell’ordine di decine o centinaia di nanometri (0,01 - 0,1?m), costituite a loro volta da aggregati di poche molecole o ioni, in grado di absorbire (dissolvere in goccioline) all´interno della loro massa o adsorbire sulla loro superficie altre sostanze presenti in atmosfera e possono inoltre aggregarsi tra di loro aumentando le dimensioni iniziali.
A differenza delle nanoparticelle costruite per l’applicazione tecnologica, che hanno caratteristiche, forma e composizione chimica nota e precisa, le particelle nanometriche sempre di origine antropica ma non intenzionali hanno caratteristiche, forma e composizione chimica complessa. Secondo alcuni come Laura Tositti dell’Università di Bologna, si legge in un articolo pubblicato recentemente sul Rapporto Ambiente Italia di Legambiente, «parlare di nanoparticelle non è altro che un neologismo per riferirsi alle nanopolveri, ovvero a particelle con dimensioni inferiori a 100 nanometri», secondo altri, come Roberto Gori, direttore tecnico dell’Arpa Toscana, addirittura «siamo noi, in Italia, ad aver coniato questi termini». Infatti non esiste una definizione precisa per le polveri ultrafini (quelle sotto 0,1 micron) ma «quello che più conta- sostiene sempre Gori- è che non c’è un sistema codificato di prelievo e di misura e ci si muove ancora nel campo sperimentale».
E mentre non mancano i dati riguardo alle polveri sottili (Pm10 e Pm2,5) sia sulla loro presenza, sia sulla loro composizione e gli effetti a breve e a lungo termine, che la loro esposizione produce sulla salute umana, poco si sa sulle polveri di dimensioni inferiori, ultrafini, su cui l’indagine è ancora poco praticata. Il motivo sta nei problemi tecnici di prelievo oltre al fatto che la attuale legislazione richiede il monitoraggio delle concentrazioni delle polveri di dimensioni maggiori.
Ma poiché appunto il problema è fortemente sentito e riproposto ogni volta che si parla di pianificare impianti di incenerimento dei rifiuti ( e spesso solo per quelli) Federambiente ha deciso di avviare una ricerca specifica sul contributo dato dalle emissioni di polveri fini e ultrafini dagli impianti di combustione.
Lo studio, primo e finora unico in Europa, è stato condotto, analizzando tutta la letteratura in materia e mediante rilevazioni “sul campo” mettendo a confronto le emissioni dei termovalorizzatori e quelle delle caldaie per il riscaldamento domestico a gasolio, carbone, pellet e gas naturale.
La ricerca promossa da Federambiente è stata realizzata da un gruppo di ricercatori del Politecnico di Milano dell’Univesità di Parma con al supervisione dell’Istituto superiore di sanità e verrà presentata domani a Milano al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia. «Questo studio, lungi dall´avere fini propagandistici, è stato voluto da Federambiente per raccogliere una preoccupazione diffusa sulla presunta nocività delle particelle ultrafini. In assenza di studi aggiornati sul tema, abbiamo promosso questa ricerca per sapere come stanno davvero le cose. Domani ascolteremo gli esiti della ricerca, condotta da studiosi tra i migliori del mondo e famosi per la loro indipendenza. Poi, una volta conosciuti i risultati, faremo le nostre valutazioni» ha detto a greenreport il presidente di Federambiente, Daniele Fortini. «Federambiente – ha aggiunto- rappresenta aziende pubbliche, fatte di uomini e di donne che vivono nelle città, accanto agli inceneritori. Abbiamo una responsabilità pubblica nei confronti dei cittadini e dei sindaci, proprietari delle nostre aziende, che sono anche preposti alla tutela della salute pubblica. Siamo quindi i primi a preoccuparci che gli impianti non siano nocivi». (Lucia Venturi - greenreport.it)
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