Il capoluogo del Tibet, Lhasa, è una città cresciuta impetuosamente fino a mezzo milione di abitanti a causa dell’immigrazione cinese dopo che il Tibet è diventata una regione autonoma annessa alla Repubblica popolare, sorge a 3.650 metri di altezza nella valle del Kyi Chu, in un’area delicatissima dal punto di vista ambientale, ma che non è dotata di nessun depuratore per le acque di scarico fognarie e per le attività industriali che hanno accompagnato la conquista cinese e l’imposizione del modello di sviluppo prima maoista e poi del socialismo di mercato turbo-capitalista.
Ora il governo centrale di Pechino ha deciso di percorrere l’ennesima tappa di quello che (come ogni colonialismo che si rispetti) chiama il processo di civilizzazione e modernizzazione del Tibet: la costruzione di un impianto di trattamento delle acque reflue che è stata avviata il 3 maggio dall’Ufficio municipale per le costruzioni di Lhasa. Il grande depuratore è uno dei principali progetti per la città del piano quinquennale 2006 – 2010 ed è finanziato interamente dal governo centrale comunista cinese per 122 milioni di yuan (17,86 milioni di dollari).
«All’inizio – spiega l’agenzia ufficiale cinese Xinhua - l´impianto sarà in grado di trattare 50.000 tonnellate di acque reflue al giorno, prima che la sua capacità sia infine raddoppiata». Fino ad oggi la “civilizzazione” cinese era stata abbastanza incivile per quel che riguarda l’ambiente urbano: gli scarichi di Lhasa finiscono direttamente nel fiume che la attraversa e che è diventato una vera e propria fogna a cielo aperto, con evidenti minacce per l’ambiente e la salute. Un problema che si è andato velocemente ingigantendo con la crescita economica e demografica di una città che ormai di tibetano ha ben poco ed al quale le autorità di Pechino hanno finalmente deciso di dare una risposta. (greenreport.it)
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