Coralli e pesci pappagallo alle Hawaii il parco record

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Mercoledì, 7 Gennaio 2009

 

È la più grande riserva marina del mondo: mezzo milione di chilometri quadrati di oceano protetto tra le Isole Marianne e le Hawaii. Dopo otto anni di misure anti ambientaliste, 13 giorni prima di lasciare la Casa Bianca, George Bush ha preso una delle rare decisioni che hanno suscitato il plauso degli ecologisti. Un secolo dopo l´atto di tutela del Grand Canyon firmato nel 1908 da Theodore Roosvelt, un largo tratto del Pacifico sarà salvaguardato.

Già nel 2006 l´amministrazione americana aveva creato alle Hawaii la Papahanaumokuakea Marine National Monument: 138 mila miglia quadrate che forniscono rifugio a 14 milioni di uccelli, a 7 mila specie marine e al 70 per cento delle barriere coralline degli Stati Uniti. Poi Kiribati, un minuscolo stato del Pacifico occidentale, aveva istituito un parco marino ancora più grande, la Phoenix Island Protected Area. Adesso il primato torna a Washington che, utilizzando una serie di territori amministrati dagli Usa, ha costituito un´enorme santuario per pesci pappagallo e tartarughe, cetacei e molluschi giganti.

Solo pochi giorni fa Bush era stato nuovamente criticato per aver indebolito le leggi sulla protezione ambientale in modo da facilitare l´esplorazione mineraria e la creazione di pozzi petroliferi in zone incontaminate, soprattutto nell´Artide. Adesso il nuovo parco marino (che disegna una superficie complessiva di 195 mila miglia quadrate, pari a 505 mila chilometri quadrati) protegge dalle mine, dai bulldozer e dalla pesca commerciale una zona di particolare pregio naturalistico. L´area comprende la Fossa delle Marianne, che con i loro 11 mila metri di profondità rappresentano il punto più profondo degli oceani; una catena formata da 21 vulcani, che include la formazione di piscine sulfuree create dalle acque termali emesse a oltre mille metri di profondità; una barriera corallina di particolare interesse.

Certo la creazione di un parco non basterà a salvare i coralli dalla minaccia del cambiamento climatico, alimentato dal consumo crescente di combustibili fossili, ma rappresenta un atto di politica gestionale cui si guarda con interesse anche in Europa, dove è finora prevalsa una filosofia di tutela diversa, basata su criteri estremamente rigorosi ma su piccoli numeri.

«In Italia la protezione è in teoria impeccabile, ma di fatto funziona solo su pochi francobolli di mare, mentre tutto il resto è esposto a ogni tipo di aggressione», osserva Alessandro Giannì, responsabile mare di Greenpeace. «Più interessante è una visione in cui la difesa della natura si lega al rilancio delle attività economiche a basso impatto ambientale come il turismo sostenibile: meglio avere grandi estensioni di mare in cui si può entrare solo con molto rispetto che pochi fortini difficili da difendere. Ad esempio nel Mediterraneo per permettere al tonno rosso, ormai in estrema difficoltà, di riprendersi noi vogliamo creare 32 grandi riserve marine».

Una linea presa seriamente in considerazione dalla Gran Bretagna che sta studiando l´ipotesi di proteggere il 30 per cento delle acque in cui ha il diritto esclusivo di gestione delle risorse (fino a un massimo di 200 miglia dalla costa) per cercare di ripopolare il mare. (repubblica.it)

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