«La comunità internazionale ha un ruolo cruciale da giocare per aiutare le Maldive a definire strategie di adattamento ai cambiamenti climatici» a dirlo è Raquel Rolnik, l’inviata speciale dell’ Human Rights Council dell’Onu per le “abitazioni decenti”, che ha appena terminato un viaggio nel piccolo Stato insulare sparso nell’oceano Indiano a sud-ovest dell’India.
«Le Maldive ed i loro atolli, a causa delle loro caratteristiche geologiche e topografiche uniche e del loro sistema ambientale fragile, risentono già degli effetti dei cambiamenti climatici – spiega la Rolnik – Ad esempio, lo si può constatare con l’accelerazione dell’erosione costiera, la frequenza più alta delle tempeste e delle inondazioni, la crescita del livello del mare, che minacciano questo arcipelago di isole molto piccole».
Mentre questi cambiamenti in atto rappresentano sicuramente un problema per il futuro dei 300.000 abitanti delle Maldive (il nuovo governo democratico sta pensando di comprare aree in Asia per trasferirci l’intero Stato in caso di inondazione completa), l´impatto immediato più evidente è che i maldiviani non trovano più terra per costruire case decenti, mentre molte isole sono occupate da esclusive strutture turistiche.
Secondo l’inviata speciale dell’Onu occorre fare presto e bene nel definire le strategie di adattamento al global warming e «La ricostruzione che è seguita allo tsunami del 2004 può servire da lezione. Nei siti di reinserimento che ho visitato, ho a volte visto una mancanza di partecipazione al processo decisionale riguardante questo reinserimento, nella progettazione delle nuove case e delle infrastrutture, il che ha per risultato delle strutture che non sono sempre compatibili con la vita delle comunità».
Negli ultimi quattro anni, i donatori e le agenzie internazionali hanno versato nelle casse maldiviane 400 milioni di dollari in aiuti, ma il vecchio governo sembra averli fatti finire soprattutto nelle tasche di una banda di clienti della dittatura. Il linguaggio diplomatico della Rolnik mette comunque in evidenza come la dittatura, sconfitta nel 2008 nelle prime elezioni davvero libere, abbia di fatto approfittato della catastrofe dello tsunami per svendere gran parte del Paese ad un turismo internazionale sempre più aggressivo, spostando intere comunità in veri e propri ghetti lontani dagli occhi dei turisti che si godono così spiagge bianche e spazi liberi.
«Lo tsunami potrebbe essere stato utilizzato da parte delle autorità come la possibilità per delocalizzare le comunità, il che ha provocato gravi conflitti. Oggi, ci sono ancora 3500 persone sradicate dal disastro del 2004 che ancora vivono in rifugi temporanei». Il processo di ricostruzione ha portato ad un aumento del prezzo dei materiali da costruzione, portando ad un rialzo dei prezzi degli affitti e aggravando il sovraffollamento.
La cosa riguarda anche gli oltre 80.000 immigrati dal Bangladesh e da altri Pesi dell’Asia meridionale che lavorano nel settore dell’edilizia delle Maldive, spesso in condizioni abitative ed igieniche spaventose. La Rolnik ha auspicato un «approccio basato sui diritti umani» per affrontare la situazione nel Paese, chiedendo al nuovo governo ed alle organizzazioni internazionali di promuovere la partecipazione pubblica al processo decisionale. Una realtà molto diversa dalla pacifica e meravigliosa cartolina dell’isole incantate che riportano in Italia molti turisti. (greereport.it)
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