Le betulle "alberi-spugna": via al business delle foreste

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Sabato, 5 Dicembre 2009

 

SAN FRANCISCO - "Ci sono alberi che divorano l'anidride carbonica come i bambini mangiano i dolci. Se esagerano diventano obesi. Sta accadendo alle nostre betulle, dalla West Coast al Minnesota". La bulimia delle betulle americane, i cui ritmi di crescita sono accelerati del 50% negli ultimi 50 anni, sta facendo impazzire gli scienziati botanici come Christopher Cole. Ma è anche una buona notizia per l'ambiente.

Le foreste, che coprono il 30% della superficie del pianeta, hanno un ruolo cruciale nella lotta al cambiamento climatico. Sono le "spugne" più efficaci per assorbire le emissioni di CO2 create in eccesso dall'uomo. Ma non tutto il verde è uguale. Di qui l'attenzione crescente rivolta ai tipi di alberi, e l'interesse alla riforestazione che coinvolge attori diversi, con alleanze un tempo impensabili tra il grande capitale e gli ambientalisti.

Lo studio sulle betulle è stato pubblicato dai ricercatori della University of Wisconsin-Madison sull'autorevole rivista scientifica Global Change Biology. E' la conferma che il cambiamento climatico provoca sorprendenti risposte di adattamento nell'eco-sistema.

Gli alberi assorbono anidride carbonica nella fotosintesi, immagazzinano CO2 nelle foglie e nel legno. Salvo rilasciare la stessa CO2 nell'atmosfera quando bruciano. Per mitigare gli effetti del cambiamento climatico, è nostro interesse aumentare la quantità di CO2 che i boschi assorbono, e prolungare il periodo in cui l'anidride resta "sequestrata".

Per questo gli scienziati attirano l'attenzione sul tipo di alberi che piantiamo: ci sono piante-spugne ben più voraci di altre. Michael Keown, dirigente dello United States Forest Service, spiega che "già oggi le aree boschive degli Stati Uniti catturano il 15% di tutti i gas carbonici del paese, ma in futuro possono fare molto di più". La capacità di sequestrare CO2 nelle cosiddette foreste umide, che abbondano qui sulla West Coast, è "il triplo rispetto a zone dove la vegetazione è più secca".

La betulla impazzita è una risposta quasi patologica al cambiamento climatico. Ma per alcuni esperti offre un'indicazione utile: perché non puntare sulle piante più ingorde di CO2, e moltiplicare l'efficacia di ogni riforestazione?

La riscossa dei boschi diventa un business. Comunque vada il vertice di Copenaghen, il mondo si convertirà agli incentivi economici per chi riduce le emissioni. In un'economia di mercato questo apre nuove opportunità e scatena gli appetiti di grandi gruppi capitalistici. Che trovano negli investimenti verdi un duplice ritorno: il beneficio d'immagine e il profitto.

Così la Walt Disney ha appena destinato 7 milioni di dollari per interventi di riforestazione nella regione amazzonica del Brasile, in Congo, sulla costa settentrionale della California, e nella valle del Mississippi. La principale compagnia elettrica californiana, Pacific Gas and Electricity, ha firmato un contratto con la cittadina di Arcata per "mantenere" le sue foreste e sequestrarvi CO2 per i prossimi 100 anni.

Improvvisamente cominciano a spostarsi anche gli equilibri politici. Non tutto il mondo della grande industria rema contro Kyoto 2. Un test cruciale è l'iter parlamentare dell'Energy Bill al Congresso di Washington. Contro la legge ambientale voluta da Barack Obama si è scatenata la lobby delle industrie più inquinanti, rappresentate dalla U. S. Chamber of Commerce (una sorta di Confindustria).

Molti gruppi capitalisti però si sono dissociati da questa battaglia di retroguardia. Per la prima volta il fronte ambientalista - dal Sierra Club al Wwf - si vede spalleggiato da una potenza economica molto tradizionale: l'industria del legname che da sempre controlla vaste zone forestali degli Stati Uniti. Per lo scienziato dell'ambiente Brian Murray della Duke University, il sistema dei "crediti carbonici" nei prossimi anni può restituire ai boschi decine di milioni di ettari. "Questa riscossa delle foreste - dice Murray - sarebbe un'inversione di tendenza secolare, il più grande cambiamento nel paesaggio americano dalla metà dell'Ottocento". (Federico Rampini - repubblica.it)

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