Te lo do io il marchio

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Venerdì, 4 Dicembre 2009

 

Sono in “fuori onda”. Dico ciò che penso, senza inibizioni..

[ Grande invenzione il fuori-onda, prima come si faceva? ].

Giovedì 3 dicembre, ore13: leggo di un accordo tra PresProvCelani e Univ.Politecnica delle Marche firmato nella stessa mattina [un miracolo di sangennaro tanta velocità della stampa on-line].

L’accordo: “Marchio Piceno” da realizzarsi nell’ambito di un Piano Marketing che valorizzi il territorio. Centotrentamila euro. Tre anni di studio (“questo studio […] si sviluppa nel triennio”). Tre fasi: Indagine/Progettazione - Realizzazione - Verifica “per vedere se si segue una via giusta” [se non è “la via giusta” si sono buttati tre anni e 130 mila euri. Nostri. Cioè europei. Cioè nostri ].

“Concreta attuazione alla “terza missione” dell’Università, [….] partecipazione diretta allo sviluppo del territorio fornendo nuove traiettorie e prospettive di crescita” (così il Rettore a suggello dell’epocale accordo). Vocabolario di paraculese alla mano, traduco: l’Università ha bisogno di fare cassa e ha trovato la maniera.

[ Ancora in fuori-onda…]

Molto ben pagata, per essere una “missione”. Gran bello sperpero di denaro pubblico, o comunitario che è lo stesso. Circolassero anche idee, fra Università Politecnica e Provincia – enti di pubblica utilità! - si sarebbe pensato a forme di collaborazione - chessò - in servizi, piuttosto che metter mano al portafoglio. Che come si sa sostituisce le idee. Siamo fortunati, però: avessero chiamato la Bocconi o la Sorbona, dovevamo impegnarci lo stipendio dei bisnipoti.

Un “ marchio piceno per poter identificare qualsiasi attività proveniente dalla nostra zona”. E una

montagna di gente ( “80 unità”! ) a partorire questo topolino con una gravidanza di tre anni. Un tempo infinito, nel nostro tempo superveloce. Per fare ciò che una scuola superiore, uno studio tecnico, esperti locali di comunicazione farebbero in tre giorni.

Sconfortante pomposità autocelebrativa la presentazione del ridondante e vacuo progetto. Vi si leggono improvvisazione e assenza di idee venduti come il massimo di progettualità ed efficienza. Di desolante povertà il linguaggio, non privo di passaggi di involontaria sintattica comicità.

Una povera Provincia, questa, nelle mani di costoro: sempre più periferica, sempre più “provinciale”. Dove non si fermano più neanche i treni. Dove - il gruppone del Piano Marketing certo lo ignora – la Stazione Ferroviaria di SBT non compare in elenco telefonico. E se non compare non c’è. E se non c’è, come potrebbero fermarcisi i treni?

Te lo do io il marchio…

[ Ops…sono in onda, adesso?... ] - (Sara Di Giuseppe)

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