Nel Sud del Colorado, nella Riserva indiana Ute, tre bacini d'acqua si sono colorati di verde, verde alga per esser precisi: da lì potrebbe provenire il biocarburante del futuro, un combustibile ricavato da alghe fotosintetiche riducendo al contempo le emissioni di gas-serra. Si tratta dell'impianto pilota, battezzato Coyote Gulch, di un progetto cofinanziato dall'Università di Stato del Colorado (Cus) e da una delle più ricche comunità di nativi americani, gli Ute meridionali.
Da tempo gli Ute cercavano opportunità di investimento in energie alternative che non contraddicessero le loro credenze, ad esempio quella che risorse alimentari ed energetiche non entrino in conflitto mentre al mondo si continua a morire di fame. Esclusi a priori investimenti sul bioetanolo ricavato dal mais, continuavano a ripetersi che "non tutto il verde è buono" finché non hanno incontrato il professore Bryan Willson che insegna ingegneria meccanica presso la Cus e che tre anni fa ha fondato la Solix Biofuels. "L'alga è una fonte ideale per produrre biocarburante - sostengono alla Solix - perché può essere coltivata in climi diversi, usa poca acqua e non toglie terreni all'agricoltura".
Il progetto ha subito affascinato i 1400 membri della tribù dall'ancestrale tradizione erboristica. "È una combinazione tra un vecchio modo di pensare e i tempi moderni. Ci ha ricordato i benefici delle erbe, come la radice di orso (Ligusticum porteri, ndr), che viene raccolta su queste montagne", ha detto Matthew J. Box presidente della tribù che ha investito oltre un milione di dollari in apparecchiature e finanziato per un terzo il capitale da 20 milioni di dollari della Solix. D'altra parte per portare avanti l'esperimento c'era bisogno di terra, CO2 e acqua. Ed è quello che hanno messo a disposizione gli Ute: la loro riserva si trova infatti sopra uno dei più ricchi campi di gas naturale derivato da miniere di carbone.
Il Coyote Gulch sorge proprio accanto a uno degli impianti per il trattamento del gas naturale: le emissioni di diossido di carbonio prodotte dall'industria vengono "riciclate" per nutrire le alghe e l'eccesso di calore viene usato per riscaldare le vasche di coltura di notte e in inverno. Ad accelerare la crescita delle alghe e a diminuire i costi contribuisce poi il fatto che i fotobioreattori sorgano su un altipiano dove il sole splende 300 giorni l'anno e che le alghe vengano coltivate in contenitori di plastica chiusi e allineati verticalmente.
Secondo gli esperti, le colture di alghe possono produrre sino a 30mila litri di carburante per ettaro l'anno contro i 220 delle piantagioni di soia e i soli 75 di una piantagione di mais. Produrre sei grammi d'olio di alga costa al momento tra i 10 e i 40 dollari, ma perché diventi commerciabile occorrere ridurre i costi a 1 o 2 dollari. Ed è proprio su questo terreno che si gioca la sfida tra le oltre 200 compagnie che oltre alla Solix stanno cercando la maniera più economica e efficace di estrarre "oro verde" dalle alghe.
Lo scorso dicembre anche il governo britannico ha lanciato un progetto simile, anche i colossi petroliferi stanno scendendo in campo: la Chevron già nel novembre 2007, la ExxonMobil appena un mese fa con 600 milioni di dollari, cinquanta volte il capitale della Solix. La concorrenza però non spaventa gli Ute. Fanno affari in 14 Stati e hanno comunque il migliore rating di debito. Finora non hanno mai fatto un passo falso. (Rosalba Castelleti - repubblica.it)
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