La nostra marineria che affonda

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Mercoledì, 12 Novembre 2008

Da generazioni l'arte marinara sambenedettese, e quindi la pesca mercantile, è l'unica fonte di sostentamento per tutti quegli uomini che del mare hanno fatto una ragione di vita.

Oggi molte cose sono cambiate, ma gli uomini sono sempre lì, a sperare la bonaccia per poter salpare e rendere fruttifera la loro uscita in mare. Ma se gli uomini sono sempre quelli, il guadagno è drasticamente diminuito a causa di costi più alti e prezzo del pesce al mercato più basso.

Le spese di gestione da sostenere dai pescherecci sono

tante e troppo elevate: i cavi d’acciaio, le reti, il carburante.. Quest’ultimo, benché sia sceso rispetto alla primavera scorsa (quando raggiungeva i 0,80 centesimi al litro), ha un costo ancora troppo elevato, 0,57 cent/lit (e un peschereccio medio ne consuma circa 1000/1500 litri al giorno).

Ma se anche tutto dovesse andare secondo le migliori previsioni dei capitani, la sorpresa i nostri marinai la trovano quando tornano alla banchina. I loro frutti vengono pagati veramente poco, soprattutto se poi consideriamo che al banco dei mercati ittici il consumatore li trova a un prezzo addirittura triplicato (le cicale bianche vendute al consumatore più o meno 15 €/kg, a loro sono state pagate circa 5 €/kg). Così la gente comune compra sempre meno pesce, alimento dispendioso, e ciò va a incidere sul lavoro della marineria rivierasca.

Perché per il mercato del pesce non ci sono controlli per garantire un guadagno al produttore e per calmierare i prezzi di vendita, come invece ci sono per altri beni di primo consumo, ugualmente deperibili, come la carne? Questo si chiedono molti marittimi indignati, alcuni dei quali nel frattempo cercano fortuna fuori dalle acque adriatiche, con campagne lunghe anche diversi mesi, lasciando famiglie e affetti. (ilquotidiano.it)

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