Clima, rinnovabili e meno petrolio con Obama gli Usa si scoprono verdi

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Venerdì, 7 Novembre 2008

C'è una rivoluzione nella rivoluzione con l'arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca. Il prossimo presidente degli Stati Uniti è nero, il prossimo presidente degli Stati Uniti ha appena 47 anni, ma il prossimo presidente degli Stati Uniti ha anche un programma energetico e ambientale assolutamente innovativo che fa del "business verde" un tassello fondamentale della rinascita americana e di un riscoperto multilateralismo.

Centralità che il senatore dell'Illinois non ha mancato di ribadire anche nel primo discorso pronunciato appena avuta la certezza di aver sconfitto John McCain. "Anche se stanotte festeggiamo, sappiamo che le sfide che ci porterà il domani sono le più grandi della nostra vita: due

guerre, un pianeta in pericolo, la peggiore crisi finanziaria del secolo", ha avvisato Obama, aggiungendo però che "ci sono nuove energie da imbrigliare e nuovi lavori da creare".

Una speranza offerta innanzitutto a un Paese a terra dopo l'uragano partito con lo scandalo dei mutui subprime, ma che non potrà non avere profonde ripercussioni globali. "Obama ritiene importante che gli Stati Uniti si impegnino nella lotta ai cambiamenti climatici e propone un rientro del paese nelle negoziazioni internazionali sul clima, senza attendere che Cina e India facciano altrettanto, evitando così una paralisi del processo decisionale", spiega Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club ed ex consulente del ministro per lo Sviluppo Economico Pierluigi Bersani.

"Come strumento d'azione - ricorda ancora Silvestrini - il futuro presidente propone uno schema analogo a quello dell'emissions trading europeo, ma con un pagamento delle quote da parte delle industrie e la destinazione dei proventi (15 miliardi di dollari all'anno) per lo sviluppo delle fonti rinnovabili e dell'efficienza energetica. Questo meccanismo penalizzerà evidentemente la produzione di energia da carbone".

Il programma del candidato democratico non si discosta molto infatti dal pacchetto 20-20-20 elaborato da Bruxelles, ma è tarato sulla cifra 10: mettere fine entro 10 anni alla dipendenza dal petrolio, 10% di rinnovabili entro 4 anni, ridurre in 10 anni del 15% i consumi di elettricità. Per questo il successo di Obama rafforzerà inevitabilmente la determinazione europea ad andare avanti, rendendo ancora più debole e isolato il tentativo italiano di bloccare tutto. Qualche settimana fa, Berlusconi, attaccando la direttiva Ue , aveva sentenziato: "I maggiori produttori di C02, che sono Stati Uniti e Cina, sono assolutamente negativi sul fatto di aderire alla nostra azione".

Vero, ma solo nel senso che Washington ora intende fare ancora più di Bruxelles, riconquistando la leadership tecnologica della rivoluzione verde. Se a Roma si insiste nel denunciare i presunti costi delle politiche ambientali, la promessa elettorale di Obama è stata invece quella di creare nel giro di dieci anni 5 milioni di posti di lavoro nel settore dell'energia pulita e di arrivare a un taglio delle emissioni di C02 dell'80% entro il 2050.

Un piano d'azione che dopo qualche iniziale incomprensione legata al ruolo dei biocarburanti e del "carbone pulito" ha conquistato la stragrande maggioranza degli ambientalisti americani. "La travolgente vittoria di Obama e dei tanti candidati filo ambientalisti in giro per il Paese - esulta il presidente di Friends of Earth Brent Blackwelder - segnala un forte rigetto delle fallimentari politiche energetiche degli ultimi otto anni e un mandato storico per una trasformazione su vasta scala".

Trasformazione, per dirla ancora con le parole di Silvestrini, che "rappresenta il ritorno degli Usa sulla scena mondiale per la lotta contro i cambiamenti climatici e un forte rilancio dell'industria delle fonti rinnovabili" rendendo "alla luce delle novità in arrivo ancora più imbarazzante e penoso il balbettio italiano per sottrarsi agli impegni contro il riscaldamento del Pianeta".

Analisi che al nostro ministero dell'Ambiente sottoscrivono solo a metà. Il direttore generale Corrado Clini, snodo italiano di tutti gli ultimi negoziati per protrarre il Protocollo di Kyoto oltre il 2012, distingue infatti tra la politica ambientale di Obama e la volontà/possibiltà di sottoscrivere impegni vincolanti in sede internazionale. "Ho incontrato il suo staff nel settembre scorso - racconta Clini - e mi hanno confermato l'intenzione di dare una spinta poderosa alle rinnovabili e all'efficienza energetica, obiettivi resi credibili dal fatto di avere alle spalle settori importanti della finanza e dell'industria americana. Un percorso che innescherebbe un circolo virtuoso molto positivo, con ricadute anche in Cina".

"Cosa diversa - aggiunge il direttore generale del ministero - è ritenere però che Obama possa pensare di accettare limitazioni alla sovranità statunitense attraverso un accordo come il Kyoto bis. Il Senato non lo accetterebbe mai, come è già accaduto con la bocciatura da parte di una maggioranza democratica della prima ratifica voluta da Clinton". "Pensare che la posizione europea esca rinfrancata dalla vittoria di Obama e di conseguenza che le obiezioni italiane siano più deboli - conclude Clini - mi sembra infondato, anzi, ora che esiste un obiettivo comune si aprirà un confronto sulle modalità per raggiungerlo. Di certo esce definitivamente sconfitto il partito di chi sostiene che per il clima non occorre fare nulla". Resta però il dubbio che il governo Berlusconi, dopo aver definito "una follia" la politica europea del 20-20-20, faccia parte proprio di questo partito. (Valerio Gualerzi)

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