Da sempre sostengo, l’ho fatto anche nel mio contributo a greenreport della scorsa settimana commentando il vertice di Poznam sul clima, che ciò che impedisce a una strategia di lotta ai cambiamenti climatici di imporsi e diventare scelta politica sono la mancanza di due ingredienti fondamentali: il consenso sociale e la partecipazione popolare.
Non c’è dubbio infatti che senza una mobilitazione convinta dei popoli è praticamente impossibile che si impongano i cambiamenti strutturali che la lotta al cambio di clima reclama. Come, mi chiedo, potrebbe imporsi quella critica al dogma dell’eterna crescita economica, senza che ne siano protagonisti i popoli?
Come si può pensare di passare da un sistema energetico non rinnovabile e centralizzato a uno distribuito e rinnovabile, se donne ed uomini in carne ed ossa non lo prefigurano in conflitti e lotte? Ed ancora come si può pensare di ispirare “all’austerità” gli stili di vita di una società se la cultura che prevale in essa è quella di un consumismo deteriore?
In altre parole se non si è in grado di animare questa partecipazione e rivoluzione culturale ben difficilmente le strategie contro il cambio di clima potranno uscire dai meccanismi di delega ai governi che fino ad ora le hanno caratterizzate e di conseguenza paralizzate. Insomma se nelle estenuanti trattative sul clima non irrompono i popoli non si va da nessuna parte, come dimostra il fallimento del protocollo di Kyoto.
Lo si è visto anche nel recente vertice di Poznam in cui per due settimane burocrazie irresponsabili, in rappresentanza dei loro governi, hanno prodotto documenti incomprensibili e stiracchiabili ovunque, sulla base di un mandato a trattare, assegnatogli dai loro decisori politici, ispirato più a difendere gli assetti di potere e gli interessi dominanti nei loro paese che non il clima. La costruzione di un forte movimento nella società è il compito più urgente a cui bisogna lavorare da qui alla scadenza del prossimo dicembre di Copenaghen, in cui si definiranno le strategie del post Kyoto.
Qualche cosa in questa direzione ha cominciato a muoversi: il social forum mondiale. Infatti 160 organizzazioni riunitesi a Poznam durante il vertice sul clima hanno approvato un documento sulle priorità da perseguire per raggiungere la giustizia climatica. Gli impegni che esso sollecita saranno portati ora al centro della discussione del prossimo social forum mondiale, che si terrà a i primi di febbraio a Belem in Brasile.
In quella sede si definiranno quindi le strategie e le scadenze di lotta con cui il movimento, a livello globale cercherà di influire sulla preparazione e sugli esiti del vertice sul clima di Copenaghen. La decisione di mettere i cambiamenti climatici al centro della lotta per rendere possibile e necessario un mondo diverso da parte del social forum mondiale è molto importante, sebbene sia giunta con ritardo.
Infatti la scesa in campo sulle questioni ambientali di quella che il New York Times definì la seconda potenza mondiale può per l’appunto consentire di far pesare sul confronto che si svilupperà a Copenaghen la pressione di movimenti della società e quindi di influire sui suoi esiti. Siamo per ora solo alle dichiarazioni di intenti, ma è la prima volta che il social forum mondiale avrà al suo centro i temi ambientali e in particolare quello della giustizia climatica. Non è detto che questi propositi da priorità scritta sulla carta si trasformino, dopo Belem, in un programma e in un movimento reale, soprattutto in questo paese. Questa però è la prova a cui il movimento ambientalista italiano, ma non solo, non può sfuggire se vuole avere influenza e peso sui destini di questo paese e su quelli più generali del mondo. (Massimo Serafini - greenreport)
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