Maltempo, il nostro Paese fragile...

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Martedì, 16 Dicembre 2008

 

Il nostro è un paese fragile. Lo ha detto anche il sottosegretario Guido Bertolaso alla guida della protezione civile, particolarmente impegnata in questi giorni per l’emergenza maltempo.

Un paese in cui la protezione civile non si ferma mai; e meno male che esiste ed è ben organizzata!

Ma un paese che voglia definirsi civile, che partecipa e organizza i vertici dei G8 (anche su questo è impegnata la protezione civile) che vuole costruire un ponte per collegare la Sicilia al resto della penisola non può permettersi di vivere in perenne emergenza per il maltempo e trovarsi, di fronte ad ogni nubifragio, con vittime e danni da mettere sul conto. E non può nemmeno continuare a negare (perché non può permetterselo) il fatto che esiste un nesso tra eventi che si manifestano con sempre maggiore intensità in periodi temporali sempre più accorciati e il surriscaldamento del pianeta dovuto alle eccessive emissioni di anidride carbonica.

Invece in Italia piove sempre sul bagnato, per usare un vecchio adagio. Si parla sempre di eventi eccezionali, sia quando vanno sott’acqua insediamenti abitativi e industriali costruiti in aree di naturale espansione dei corsi d’acqua, sia quando crollano tetti sulle scuole o ponti costruiti (poi si scopre) con cemento scadente e su cui non si è mai fatto nemmeno la manutenzione straordinaria.

E’ un paese fragile, ma è reso ancora più fragile da scelte sbagliate, da tagli iniqui, in cui il concetto di manutenzione è abbandonato perché non è foriero di modernità, non risponde al culto dell’usa e getta, non è sufficientemente avvezzo al modello consumistico cui veniamo richiamati all’ordine.

In questi giorni, in particolare, da un premier che per uscire dalla crisi economica incita a fare regali di Natale e considera occuparsi del clima un vezzo, come chi affetto da polmonite pensa a farsi una messa in piega.

Manutenzione del territorio vuol dire cura, attenzione, interventi continui, ma vuol dire soprattutto scegliere: fra interventi faraonici come il ponte sullo stretto, appunto, o la manutenzione ai migliaia di anonimi ponti che attraversano gli innumerevoli torrenti di cui l’Italia è ricca. Vuol dire optare tra una cementificazione del territorio che va ad erodere anche i metri quadri delle golene (assai utili per permettere ai fiumi di esondare senza rischio al passaggio delle piene) per incassare oneri di ubanizzazione, anziché scegliere per la manutenzione degli argini e delle aree di espansione. Vuol dire dotare gli spazi pubblici come le scuole dei servizi essenziali (non è forse essenziale riparare un tetto o rendere praticabile un cortile?) vuol dire pulire i tombini per permettere alle acque di raggiungere facilmente le fogne, vuol dire pensare, quando si progettano interventi di viabilità –come i sottopassi- che ormai bisogna tener conto (e sempre di più) di eventi che non possono definirsi più tanto eccezionali, quando si ripetono con una frequenza sempre più ravvicinata.

Dimenticando che fare manutenzione costerebbe (al netto naturalmente delle vite umane che non hanno prezzo) molto meno che non dover pagare i danni dopo. E darebbe anche la possibilità di creare (o almeno non tagliare) posti di lavoro tutt’altro che precari.

Ma questo oltre che un paese fragile è anche un paese di poca memoria. Quindi passati i riflettori sugli eventi di questi giorni, si aspetta il prossimo naufragio. Che sarà (ovviamente) ancora un evento eccezionale. (Lucia Venturi)

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