Clima, il Terzo Mondo pronto alla svolta ma Europa e Usa sono paralizzati

Aggiorna la pagina

 

Sabato, 13 Dicembre 2008

 

POZNAN - Molti problemi ambientali e niente leadership. E' questa l'abbinata che sta minando la possibilità di imboccare con decisione la strada dell'energia pulita. Una strada che nel breve termine può produrre un risultato importante, ridare fiato all'economia mondiale, e nel medio termine assicurare un risultato ancora più importante: mantenere il clima a un livello compatibile con la sopravvivenza dei sei miliardi e mezzo di esseri umani che oggi popolano il pianeta.

La coincidenza della conferenza Onu a Poznan con il vertice europeo a Bruxelles ha messo in evidenza la sfasatura temporale che rischia di minare il percorso cominciato nel 1997 a Kyoto e arrivato ormai a un passo dal traguardo. Gli Stati Uniti, dopo otto anni di politica centrata sul petrolio, hanno voltato pagina con decisione, ma la delegazione americana che segue la trattativa risponde ancora formalmente alla presidenza Bush e non può quindi guidare la volata verso la nuova economia basata sull'efficienza e sui prodotti a basso impatto ambientale.

L'Unione europea, che da oltre un decennio è il vero regista delle politiche ambientali globali e che negli ultimi anni ha preso impegni stringenti, paga il prezzo del rallentamento del processo di revisione europea: è un'entità politica fragile, che soffre venti anche deboli come quelli che vengono dall'Italia e dalla pattuglia di paesi dell'est in difficoltà economica.

In assenza di leadership il mondo rischia di restare fermo sulla riva pericolosa, quella dei veleni che continuano a salire verso il cielo, senza riuscire a prendere il traghetto della terza rivoluzione industriale. Andrà veramente così? Stando agli umori dell'opinione pubblica, sempre più allarmata dal moltiplicarsi dei disastri climatici, e all'agenda di stati importanti che hanno già messo in cantiere la riforma energetica (la Gran Bretagna ha votato la prima legge sul clima che taglia le emissioni serra dell'80 per cento entro il 2050) il processo di riconversione produttiva appare inevitabile. Potrebbe però arrivare troppo tardi per ridurre i danni a un livello accettabile.

Ed è paradossale che, mentre l'Italia e il fronte del no agitano lo spauracchio della mancata partecipazione dei paesi emergenti, a Poznan vada in onda un altro film. I paesi poveri e quelli di nuova industrializzazione sono tra i più preoccupati per le conseguenze del caos climatico che minaccia loro più degli altri vista la differente capacità di investire nell'adattamento per mitigare l'impatto negativo del riscaldamento globale.

La delegazione cinese ha espresso il suo "profondo disappunto" per gli ostacoli che stanno emergendo sulla strada del vertice di Copenaghen, che alla fine del prossimo anno dovrebbe dare il via libera definitivo al piano salva clima. La Cina sa che la riduzione dei ghiacciai himalayani fa aumentare la sua sete, vede il deserto stringere Pechino in una morsa, calcola che i raccolti di grano potrebbero diminuire del 10 per cento tra il 2030 e il 2050. Per questo sta cercando di alleggerire la pesante cappa di inquinamento che nasce dalle sue fabbriche e l'anno scorso ha investito 12 miliardi di dollari nelle rinnovabili. A Poznan è venuta per misurare la possibilità di un negoziato. Ma rischia di non trovare i negoziatori. (Antonio Cianciullo - repubblica.it)

Visione ottimizzata 1024x768 pixel

Imposta come tua

"Pagina iniziale"

di Internet Explorer

Webmaster

Disclaimer

by meteorivierapicena.net