Popoli autoctoni minacciati dal cambiamento climatico

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Martedì, 12 Agosto 2008

Secondo la Fao «Le condizioni climatiche più severe e l´accesso limitato alle risorse di base, in particolare la terra, rischiano di mettere in pericolo la vita e il modo di vivere di molti gruppi di popolazioni autoctone, che detengono pertanto la chiave della nostra sopravvivenza a lungo termine».

Nell´occasione della Giornata internazionale dei popoli autoctoni, Regina Laub un´esperta dell´agenzia per l´alimentazione e l´agricoltura dell´Onu ha sottolineato che «Le popolazioni autoctone sono tra le prime a soffrire delle condizioni climatiche che sono sempre più severe e capricciose. Soffrono anche di una mancanza

di autonomia per quel che riguarda beni e servizi ai quali hanno più facilmente accesso altri gruppi di popolazioni».

Alcuni popoli autoctoni vivono in ambienti vulnerabili, regioni montane, Artico, jungle, terre aride , e sono i primi ad essere esposti alle conseguenze dei cambiamenti climatici. Popoli che si trovano a fronteggiare gli effetti drammatici del global warming nel ruolo di vittime, ma che potrebbero sperimentare i metodi di adattamento e contrasto che in un prossimo futuro potrebbero essere utili a tutto il mondo.

La Fao fa l´esempio del Perù, dove «nel corso dell´ultima campagna agricola, solo le patate piantate in maniera tradizionale hanno resistito al gelo ed a temperature estremamente basse senza precedenti». I popoli tribali sono spesso i guardiani della natura, della biodiversità, della genetica vegetale ed animale, i custodi di saperi e di conoscenze unici che saranno preziosi per adattarsi ai cambiamenti climatici.

Circa l´80% della biodiversità del mondo si trova in territori abitati da popolazioni autoctone, che hanno avuto un passo più leggero del nostro sul pianeta. Popoli marginali, ma che tutti insieme contano 370 milioni di persone divise in 5 mila gruppi sparsi in 70 Paesi. Solo in Amazzonia ci sono 400 gruppi tribali diversi.

Popoli che non ci chiedono molto, se non di recuperare i loro diritti ancestrali sulla terra, l´autodeterminazione ed il riconoscimento dei loro diritti come esseri umani. La risposta è spesso quella della marginalizzazione, del colonialismo culturale, della distruzione del loro ambiente, della riduzione in povertà. Solo un pugno di Paesi ha riconosciuto i diritti ancestrali di questi piccoli popoli e difendono le loro terre dall´assalto delle grandi multinazionali e dei coloni miserabili. Ma in Africa, America latina ed Asia spesso la risposta è quella del non riconoscimento dei diritti, la discriminazione politica e sociale.

Il razzismo che ricomincia a percorrere l´Italia verso i Rom e i Sinti è purtroppo moneta corrente in molti Paesi del mondo, alimentato dalla lotta per la terra che vede le etnie più forti schiacciare sotto il pregiudizio e la violenza le minoranze etniche spingendole fuori dalle loro terre, verso la miseria e la fame.

La Fao ha avviato in diverse parti del mondo attività che puntano a migliorare le condizioni dei popoli autoctoni e che dovrebbero permettere loro di poter prendere le decisioni con cognizione di causa, in particolare per quel che riguarda le risorse naturali ed il diritto alla terra.

Secondo la Fao «Si tratta di sensibilizzare, di facilitare l´accesso alle informazioni giuridiche, di creare istituzioni rurali e di semplificare le procedure. A questo riguardo, buoni risultati si sono registrati in diversi Paesi dell´Africa subsahariana e nel Pacifico».

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